Sabato mattina a Zorzino. Sveglia posticipata una volta che mi costringe a saltare fuori dal letto con una velocità supersonica. Il tempo di vestirmi e uscire di casa e trovo Uby nel posteggio di fronte che sta finendo di prepararsi. L’ho convinto il giorno prima ad unirsi con me in un giro di quelli tosti. Un giro di quelli folli.
Nella mia testa, qualche settimana prima, era nata la volontà di riprovare, a distanza di poco più di due anni dal primo, a completare un nuovo Everesting Roam.
In meno di due ore avevo disegnato una traccia con partenza da Zorzino, e che univa le montagne della sponda bresciana con quelle del lato bergamasco del lago di Iseo. Partenza fissata per le ore 7 che complice anche l’estrema lentezza di Uberti a prepararsi sfora di ben 15 minuti.
Partiamo affrontando subito i due chilometri di salita che separano Zorzino da Solto Collina. Dopo la discesa verso il lago Endine spingiamo le bici sulla sponda esterna evitando il traffico della statale e godendo di un minimo di frescura.

Nonostante l’entusiasmo fin dai primi chilometri non mi sento propriamente in formissima. Ho una certa stanchezza che mi trascino da settimane, un mix di poco sonno e troppo lavoro. Il caldo torrido di Milano non ha certo aiutato a riposare bene. A completare un quadro clinico di estremo successo c’è anche la schiena, che nonostante una settimana di trattamenti da Doc non sembra essere ancora del tutto in ordine.
Arriviamo a Grone pronti, si fa per dire, per affrontare gli oltre 11 km che ci porteranno in cima ai Colli di San Fermo. I Colli dal lato di Grone, quello più duro, sono una tra le salite che più preferisco. Una salita tosta, con pendenze che stanno quasi sempre in doppia cifra. Dopo il primo chilometro la strada si impenna e non molla per i successivi tre chilometri. Ti lascia respirare quel poco che basta per riprendere a salire secca lungo una serie di tornanti molto ravvicinati tra loro.

Mi alzo e spingo sui pedali e come per magia una fitta intensa mi attraversa la parte lombare della schiena. Quasi a ricordarmi come ero messo qualche giorno prima e giusto per farmi venire un po’ di quella ipocondria che da sempre mi contraddistingue. Proseguo provando a non dare importanza a quel dolorino, a non pensarci. Pedalo e mi concentro solo sulla strada che inesorabile continua a salire.
Mi giro verso Uby, poco distante da me, e gli esterno le mie pessime sensazioni di oggi. Molto cortesemente il mio compagno di avventura mi dice di non lamentarmi e pedalare. Arriviamo in cima e come premio ci regaliamo una colazione di quelle complete. Caffè, cornetto e succhino di frutta con tanto di vista.

Consumo la colazione al sole stile lucertola, appoggiato con la schiena alla panchetta del rifugio e nel frattempo penso che starei in quella posizione per tutta la mattina, altro che 10k.
Non senza fatica, dopo quasi mezz’ora di sosta ci rimettiamo in sella e ripartiamo. Ci lanciamo in discesa dai Colli in direzione Villongo, da li in un attimo arriviamo a Sarnico. Raggiunto il lago superiamo il ponte arrivando a Paratico e puntando la salita di Polaveno. La temperatura sul lago è bella tosta, alle 10.30 supera facilmente i 35 gradi.
La prima parte della salita di Polaveno è per buona parte esposta al sole, fatta eccezione per i brevi tratti di strada che scorrono sotto il ponte della statale,. Affrontarli con 35 gradi e un discreto tasso di umidità è un mezzo calvario, ma il sonno di questa mattina sembra essere alle spalle.

Nonostante tutto mi accorgo che sto salendo bene, sia chiaro, per quello che sono i miei canonici ritmi in salita, Uby dietro di me ne approfitta per scattare una serie infinita di foto, così tante che anche un giapponese non starebbe al passo.
Una volta raggiunta anche la cima di Polaveno scendiamo a tutta velocità verso la Val Trompia per ritrovarci dopo qualche chilometro nuovamente fermi ad un baretto. Coca Cola e acqua fresca perché davvero il caldo ci sta abbastanza rincoglionendo.
Quando ci rimettiamo in marcia puntiamo la salita di Magno. Salita completamente inedita sia per me che per il local di zona Uberti. Salita che inganna. All’inizio sale dolce che è quasi piacevole ma dopo qualche chilometro diventa decisamente più impegnativa. Poche macchine transitano lungo la strada il che rende la salita particolarmente piacevole.

Ci fermiamo arrivati a quota 700 metri in prossimità di una fontanella che viene neppure a dirlo immediatamente assaltata. Una volta rinfrescati decidiamo di ripercorrere la strada appena affrontata in salita e tornare di fatto sulla statale della Valtrompia, deviando di circa 400 metri di dislivello e poco meno di 5 chilometri la traccia.
Arrivata a Tavernole la strada inizia a salire dolce, ci spettano circa 30 km di mangia e bevi fino a poco prima del bivio che porta ad Aiale. Mentre affronto la prima parte di salita mi sento decisamente meglio, almeno a livello fisico ma la testa non sembra essere quella dei giorni giusti. E’ come svuotata, stanca. Fortuna che con me c’è Uby. Fossi stato in giro da solo penso che a questo punto sarei già sulla strada verso casa.
Le montagne che dividono la Val Trompia dalla ValleCamonica ci proteggono dal sole fino all’attacco del Maniva. Devo essere onesto, è stata almeno all’inizio una vera manata. Fortuna che verso la metà ci siamo rifugiati in un baretto dove abbiamo trovato refrigerio con acqua coca e RedBull (la mia terza della giornata)

La ripartenza è stata faticosissima, tanto quanto quella di questa mattina in cima ai Colli. Ci facciamo forza e affrontiamo l’ultima parte di salita fino a raggiungere la vettà.
Sono abbastanza finito. Anzi no. Sono completamente finito. La breve pausa in cima al Maniva non mi aiuta quanto avrei sperato. Ripartiamo scendendo lungo la strada che arriva a Bagolino e una volta arrivati prendiamo la strada che risale lungo il Crocedomini. Salita inedita anche questa. Salita che mi ha lasciato a bocca aperta dall’emozione e dalla sua bellezza.

I primi chilometri sono quasi noiosi, la strada sale lungo un drittone e con zero vista, ma dal terzo si entra come in un mondo fatato. Un panorama lungo la strada meraviglioso. Alberi lungo il tragitto, distese verdi di prati per il pascolo con animali annessi e capre incluse. La cosa che mi sorprende è il silenzio che a tratti regna sovrano, rotto solo in alcuni momenti dalle urla di alcuni scout in vacanza nella zona.

Sembra di essere dentro ad una dimensione diversa. Percepisco i rumori quasi in maniera ovattata. Gli occhi invece sono a 360 gradi sulla strada e su ciò che scorre intorno a lei.
Mentre pedaliamo sia io che Uby non parliamo altro che della bellezza di questa salita. Probabilmente il lato meno duro del Crocedomini ma sicuramente quello più bello. A pochi chilometri dalla cima, la carreggiata si stringe curvando leggermente a destra aprendosi ad una meravigliosa vista. Gli ultimi chilometri sono stupendi. Si vede la strada che scorre tra le montagne fino a girarci dietro, una vasto altopiano verde intenso che farebbe invidia all’immagine di Microsoft e il solito silenzio che rende tutto un po’ più magico.

Arriviamo al cartello del Passo. Sono le otto di sera passate. Non c’è praticamente nessuno. Siamo a poco meno di metà del giro. 180 km e 4600 metri di dislivello. Nonostante la testa abbia giovato del passaggio sull’ultima salita, rimane comunque svuotata e il corpo mi dice che non ne può più. Gli undici gradi dei quasi duemila metri del Crocedomini mi hanno infreddolito, un aria leggera ma fastidiosa soffia da est verso ovest. Guardo Uby e non senza un po’ di malessere gli dico che non ne ho più e che preferirei tirare dritto verso casa e a questo punto accontentarmi di un 5000

La sua faccia è quasi per un attimo sorpresa. Una frase così non si aspettava di sentirla. Forse non da me. Mi sorride, annuisce ma aggiunge che prima ci si ferma da McDonald’s a mangiare qualcosa. Prima di ripartire manco a dirlo, foto di rito al cartello.
Scendiamo con il tramonto, affrontando le curve con il sole che illumina uno spicchio della vallata sotto di noi.
Una volta a Bienno tiriamo dritti verso Darfo. Ammetto che mancare la svolta alla rotonda mi ha procurato un minimo di tristezza. E’ stato un fallimento, della testa e del corpo.
Con questo pensiero pedalo per oltre dieci chilometri. Mi sembra di essere tornato alle elementari quando la mattina mi svegliavo cosapevole di non aver fatto i compiti assegnati la settimana prima. Mi sento in colpa con me stesso. Mi sento in colpa con l’Andrea che monta in sella.
Pedalo cercando dentro me stesso le colpe di questo fallimento. Non mi basta sapere che la stanchezza di una settimana con poche ore di sonno abbia inciso e non poco. Cerco più dentro, scavo nella mia testa oltre che nel fisico. Il fallimento è derivato dall’ essersi accontentato. La testa prima ancora del corpo non era pronta. La mia testa non aveva la solita fame, era come svuotata o forse troppo piena per avere ancora fame.
Chi aveva fame era di sicuro il mio corpo e me ne accorgo una volta arrivati da Mc Donald’s. Io e Uby consumiamo il nostro ultimo pasto, ci godiamo la nostra ultima pausa. Le pause con Uby sono da sempre un grande spasso, esattamente come i giri in sua compagnia.

Dopo due menù e altri due panini ripartiamo un po’ appesantiti. Fortuna che ci mancano poco più di venti chilometri a Zorizino. Le luci sulle bici illuminano la salita di Fonteno. L’ultima vera fatica di una giornata che non è andata secondo i piani, ma che nonostante tutto sì rivelata come sempre divertente. Ecco un altro aspetto positivo della bici, anche le giornate storte in termini di risultati diventano giornate indimenticabili.