ASSAUL TO FRANCE

Sono passati più di sei mesi da quei magnifici quattro giorni trascorsi insieme a bici ed amici. E’ passato tanto tempo, ma questo non cancella certo le emozioni e i ricordi di quei fantastici giorni.

Con colpevole ritardo, provo come sempre a raccontarveli qui.

Susa, Giovedì 22 Luglio 2021

Io, Stefano, Uby, Briciola, la Saretta, Cisco, e il Pincher siamo pronti a partire nonostante un pre partenza piuttosto complicato, di cui meglio non fare menzione. Mentre mi preparo mi sembra di vivere qualcosa di già vissuto, e non è solo per la visione delle borse e del peso che esse portano sulla Renata. A distanza di un mese e mezzo sono di nuovo pronto per un nuovo viaggio. Nuovi posti da visitare e nuove montagne da scalare.

Sarà un viaggio tra Italia e Francia, sarà un viaggio che ci terrà per quattro giorni stabilmente in alta quota. Sedici passi alpini in quattro giorni, direi che rende l’idea del viaggio che ci aspetta, un viaggio con poca pianura, un viaggio con le bici stabilmente sopra i duemila metri di quota.

Pronti via e siamo subito con le ruote in salita.

Il gran menù della prima giornata di viaggio ne prevede ben quattro di colli. Il primo; il Colle delle Finestre. Tempo due chilometri e mi sento già morto. Tempo due chilometri e ho gli occhi a cuore, talmente tanto che al primo scorcio di panorama esterno tutto il mio stupore senza troppo contegno. Stefano, uno dei tanti che non ha faticato a sentire il mio stupore, mi avvisa che questo è nulla in confronto a ciò che vedrò nei prossimi giorni. La salita delle Finestre è di quelle toste con pochi momenti buoni per rifiatare. Il panorama è unico specie quando, dopo diversi chilometri nel bosco, la strada torna a scorrere fuori dalla fitta vegetazione mostrando tutto lo spettacolo che c’è intorno a lei. Tra una risata e un’imprecazione, specie nel tratto sterrato, i tornanti passano abbastanza velocemente.

In cima come di consueto fotona di gruppo e siamo di nuovo pronti a ripartire lanciando le bici lungo la discesa che ci porterà verso Sestriere. Anche in occasione della seconda ascesa di giornata mi sono letteralmete rifatto gli occhi. Panorami unici, salite che si potrebbero quasi definire incontaminati.

Il gruppo poi fa il resto. Uno spasso di quelli epocali. Felici sorridenti, sempre con la battuta pronta o nel mio personalissimo caso, sempre pronto a fare casino.

Scesi dal Sestriere abbiamo puntato il Monginevro. Altra salita spaziale, caratterizzata dalla vera caciara lungo la strada, che poi alla fine è la vera parte che fa la differenza. In fondo quelle strade sarebbero state belle anche se affrontate in solitaria. La differenza l’ha fatta la compagnia, la differenza l’ha fatta il gruppo.

Il primo giorno in sella lo chiudiamo nel migliore dei modi, scalando l’Izoard. Ed è stata questa per me la salita più bella di tutta la giornata. Quella strada che si districava tra le valli. I tornanti senza parapetto. Una vista unica che solo alla visione ti senti il cuore scoppiare, ti senti in pace. Ti senti nel posto giusto. Per arrivare in cima bisogna faticare per 19 km di salita dove i punti per rifiatare sono decisamente pochi. Ma chissenefrega dei punti per rifiatare, basta concentrarsi sulla vista e vi giuro che la fatica quasi non la si avverte.

Chiusa l’ultima salita di giornata ci si ributta in sella e ci spingiamo fino ad Aiguilles dove è situato il nostro alloggio per la prima sera.

Primo giorno chiuso a quota 125 km e 4316 metri di dislivello. Vi lascio immaginare lo stato della fame quando prendiamo posto in un piccolo e grazioso ristorantino posto a pochi metri dal nostro alloggio. A proposito di alloggi, sono nell’unica tripla della comitiva con Uby e la Zingara. Vorrei far notare come, a distanza di tempo, il Sig Uberti sia ancora vivo nonostante quella sera fosse sprovvisto di tappi. E non aggiungo altro.

Il secondo giorno comincia alle ore 7. Usciti dal nostro albergo, percorriamo pochi chilometri di strada, stranamente in discesa, e siamo pronti per la prima salita. Colazione con l’Agnello e non è di certo quello alla griglia. Le gambe sono ancora attaccate e almeno nella prima parte la salita quasi non la si avverte,e in questo la compagnia di Uby e della sua inseparabile GoPro sono state fondamentali. Praticamente dopo 4 km di salita avevo un book con milleduecento foto. Una roba che neppure un professionista.

Anche il Colle dell’Agnello è una salita da paura, un panorama semplicemente unico, che osservato dalla sella della bici alle prime ore del mattino ha quel qualcosa in più. Quella dell’Agnello è senza dubbio una salita di qelle vere, con quota, lunghezza e pendenza che la rendono certamente una salita bella tosta. Raggiunta la cima a 2744 metri si ha la completa visuale di entrambi i versanti e vi assicuro che è una cosa che viene difficile spiegare a parole. Vi suggerisco di viverla e di ritrovarvi in cima al confine tra Francia e Italia con tutto il paesaggio a portata di occhi. Solo così potrete davvero capire di cosa parlo.

Insomma non male come inizio di giornata. In cima non ci facciamo mancare la solita foto di gruppo.

Indossiamo le mantelline e siamo pronti, superando il confine, a buttarci lungo la discesa che ci portarà verso la seconda asperità di giornata, il Sampeyre. Dopo aver percorso 26km di discesa decidiamo che è arrivato il momento di fare colazione come si deve. Quella della mattina non ci aveva particolarmente entusiasmato, specie il caffè. Sosta in modalità zingari, dove ne approfittiamo anche per riempire a dovere la pancia. Dopo la breve sosta ripartiamo puntando il Sampeyre. Il caldo inizia a farsi sentire, così come la scalata alla nostra seconda vetta di giornata.

La salita si snoda dentro ad un fitto bosco di larici. Appena ci entro in sella alla Renata avverto da subito quel profumo intenso di natura che ti invade le narici. Il fondo stradale non è dei migliori ma il panorama intorno è magico. Arrivo in cima insieme alla Saretta, siamo entrambi abbastanza finiti. Ne approfitto per buttare nello stomaco una barra, il tutto con un perfetto tempismo tra una foto di gruppo e una da solo.

Terminato l’ennesimo book fotografico ci dirigiamo verso l’ultima vera asperità di giornata. Il Col d’Esischie. Come accaduto nella prima giornata anche in questo secondo giorno l’ultima salita è di fatto quella che più mi ha colpito. La prima parte me la godo in compagnia di Stefano, Pincher, Uby e Briciola. Mi rendo conto della bellezza nel condividere insieme ad altre persone un momento speciale come una salita. Guardo i miei compagni e posso vedere facilmente oltre la stanchezza la loro felicità. Quella felicità che ci accomunava in quel momento. La felicità. Eravamo finiti ma felici. Questo rimane il paradosso più bello del ciclismo. Felici anche quando si è finiti.

Poco dopo la metà della salita, ci ricompattiamo e ne approfittiamo per fare il pieno di acqua da una fontanella, quella che pochi chilometri prima sembrava un miraggio. Quando ripartiamo mi ritrovo dopo poco in compagnia della Saretta con cui di fatto completerò l’ascesa.

In cima all’Esischie ci bastano pochi chilometri per raggiungere la cima del Fauniera. La statua dedicata a Marco la si vede da un paio di chilometri. Li in cima nel posto più giusto, nel posto che più merita. Arrivo in cima provato ma con la consapevolezza che almeno per oggi le salite erano finite.

Il vento ci costringe a vestirci prima di affrontare la discesa.

La discesa dal Fauniera rimarrà uno dei momenti più emozionanti dei quattro giorni di viaggio. Vedere partire i ragazzi uno alla volta, vederli percorrere quella lingua di asfalto tra la valle e le rocce. Ancora oggi se chiudo per un istante gli occhi posso rivivere quel momento

Da li ci sciroppiamo altri cinquanta e rotti km di falsi piani e piccoli strappetti fino ad arrivare a Vinadio in discreto ritardo sulla tabella di marcia. Quando arriviamo sono le passate le le 20.30 e troviamo davanti all’albergo Simone che come da programma si aggregherà a noi per gli ultimi due giorni.

Dopo una veloce doccia ci fiondiamo nel ristorante di fronte al nostro albergo, il sottoscritto darà il meglio di se, consumando due pizze una porzione di patatine e due birre. Lo chiamavano recupero.

Il terzo giorno la partenza da Vinadio è alle 7.15. Il cielo sopra di noi però a differenza dei primi due giorni e non sembra essere dei migliori. La prima salita di giornata è il Colle Della Lombarda. Come nelle precedenti giornate non facciamo in tempo a montare in sella che siamo già ad alleggerire i rapporti per iniziare la salita.

La Lombarda, 21,3 chilometri immersi nella natura più incontaminata. Lungo tutta la salita non ci sono paesi, è tutto boschi, prati d’alta quota ma soprattutto un silenzio impossibile da descrivere. Poco dopo il bivio con il Santuario di Vinadio iniziano a scendere le prime timide gocce di pioggia. Uby che pedala in al mio fianco non la prende benissimo. L’emozione che regalano i tornanti sono di quelle che sfiorano la pelle d’oca. Salita lunga ma non così dura. La pioggia aumenta diventando decisamente fastidiosa, e all’avvicinarsi dei 2000 metri di quota il clima si fa decisamente più frizzante. Mai fu piu apprezzato il the caldo offerto dai signori veneti in cima alla salita.

Affrontiamo la discesa senza pioggia ma con un’aria non proprio piacevole. Scesi di quota la temperatura si fa decisamente migliore, ma il vento continua a tenerci compagnia.

Dopo una sosta caffè, siamo pronti a ripartire direzione la Bonette. La cima più alta d’Europa. Per la prima volta porterò me stesso in sella ad una bici ad un’altitudine superiore ai 2758 metri del passo dello Stelvio. Arrivare a 2802 metri di quota non prima di aver percorso 24 chilometri di salita. Una salita semplicemente magnifica che mi è rimasta nel cuore anche per come l’ho vissuta, per come l’ho affrontata. Una salita impegnativa con un panorama speciale che cambia nel giro di pochi km.

Da un fitto bosco si passa a pareti di roccia che sovrastano la strada. Superata quota 2000 metri il vento si unisce a noi. A tratti è a dir poco fastidioso. Il peggio però è quando te lo ritrovi che soffia di fronte, non bastasse la pendenza in doppia cifra, ci mancava pure il vento.

La strada è un susseguirsi di emozioni specie i miei occhi guardano verso il basso. Scorgo i tornanti superati. Intorno solo il rumore del vento che continua a soffiare senza tregua. Una volta in cima la sola vista del cartello mi procura un brivido lungo la schiena. Rigorosa foto di rito e si rimonta in sella direzione Col de Vars ultima asperità di giornata.

Nonostante fosse tra le tre salite quella mena impegnativa la realtà dei fatti è che è stata quella che più ho sofferto. Sofferenza che probabilmente mi ha portato a non godermi totalmente quei dieci chilometri di strada che si inerpicavano lungo tornanti panoramici fino a quota 2111 metri. Una volta raggiunta la cima, documentata con tanto di storia di Stefano dove si vede tutta la mia finitezza, mi fiondo diretto dentro al bar e ordine due coca cola e due redbull.

Dopo essermi ripreso un minimo e dopo le sempre rigorose foto di rito,siamo pronti a ripartire per fare destinazione al nostro albergo che però non è propriamente vicinissimo. Ci toccano quasi 50 km di cui gli ultimi 4 in lieve falsopiano. Arriviamo a destinazione in clamoroso ritardo e particolarmente stanchi e provati da una tappa chiusa con 187 km e 4857 metri di dislivello positivo.

Risolta, non senza qualche piccolo intoppo, la formalità cena andiamo a prenderci il meritato riposo nel mio caso non senza aver disturbato Uby a dovere.

L’indomani la partenza è fissata per le ore 8, e alla colazione le nostre facce hanno apprezzato quell’ora di sonno in più. Si parte puntando il Lautaret. Salita che ho sofferto parecchio specie all’inizio quando le mie gambe erano ancora a letto. Come per le precedenti anche il Lautaret ha un panorama spaziale. Un panorama che alla vista è stato capace di rimettere l’animo al suo posto.

Dopo il Lautaret ci spingiamo verso il Galibier. Eh, il Galbier, che strada assurda. Una cosa pazzesca. Per quelli della mia generazione il nome della salita transalpina evoca una giornata piovosa di luglio di vent’anni fa, un Pirata all’arrembaggio e una maglia gialla che arriverà fino a destinazione. Una salita lunga e faticosa ma al tempo stesso incantevole. Poco importa se quando arrivo in cima sono davvero morto, defragrato, scoppiato.

Due minuti per una barretta e per recuperare un minimo le energie e si riparte, anche perchè i tempi per il rientro sono abbastanza serrati.

Ripartiamo affrontando la discesa del Col du Telegraphe e dopo un lieve tratto di dolci sali e scendi siamo pronti per l’ultima salita di questi quattro giorni, Il Moncenisio. L’ho fatto con una fatica addosso che non avete idea. Che a dirla giusta la fatica l’ho iniziata a sentire ben prima della salita vera. Quel falsopiano che arriva qualche chilometro prima è stato l’anticamera della mia finitezza. Fortuna che per gran parte della salita ho avuto la fortuna di avere la compagnia di Simo. L’ultima fatica di questo meraviglioso viaggio in compagnia, raccontandosi le emozioni provate nel corso di questi quattro lunghi e intensi giorni. Scollinato la visione del lago sotto di noi è letteralmente da pelle d’oca. Una cartolina in diretta. Una cartolina immortalata con occhi e mente.

La discesa dal Moncenisio fatta senza fretta, godendo totalmente della strada immersa in un paesaggio incontaminato. Senza fretta perchè una volta arrivati a Susa il gettone si esaurisce non senza una punta di tristezza.

Questo viaggio mi ha insegnato tanto, mi ha lasciato un vero e proprio segno dentro, di quelli grossi, e non parlo solo di ricordi. Questo viaggio mi ha insegnato che la sofferenza e la fatica se condivise si dimezzano ma la gioia e la felicità condivise raddoppiano. A livello “sportivo” mi ha dato ancora maggiore consapevolezza dei miei mezzi. Non a caso qualche settimana dopo questi quattro giorni, iniziò a saltarmi nella testa il grillo del “40for40“.

Mi ha insegnato poi un sacco di cose che potrebbero sembrare inutili ma che invece sono quasi fondamentali. L’ordine nelle borse e nelle stanze è a tratti fondamentale, specie se siete un po ansiogeni. Sempre premuroso portarsi dei tappi, se dormite con la zingara ed uby diventano a tratti fondamentali.

Come in occasione del mio viaggio da Arese a Nettuno lungo la Via Francigena, anche in questo caso vi suggerisco di organizzare un viaggio in bici. A prescindere dalla vostra preparazione e dalla vostra passione e devozione alla bici, un viaggio, vi lascerà un bagaglio di ricordi emozioni ed esperienze che non scorderete mai, questo indipendentemente dal viaggio e dalla durata, fosse anche solo un semplice weekend.

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