Venerdì 25 Luglio
Sono passate da poco le 21, io Marco e Simone siamo di fronte al negozio Spoton Bike Shop di Bormio. Simone (Bertin) o se preferite mr Birra, finisce per scattarci le ultime foto, al termine ci agganciamo ai pedalini e diamo i primi colpi di pedale.

Borm10K è ufficialmente inziato. Mentre percorriamo Via Monte Cristallo penso che mai una vigilia mi aveva “divorato” e “consumato” come questa.
Tutto il Venerdì l’ho passato a pensare alla sfida, al meteo alla bici da sistemare. Sono rimasto preso dall’organizzazione e ogni ora che passava avevo il terrore che qualcosa non andasse come mi ero mentalmente programmato.
Per fortuna come immaginavo, è bastato montare in sella per spazzare via quella noiosissima sensazione, quel peso che mi sono portato dietro tutta la giornata di oggi e che a ben vedere mi martellava da circa cinque giorni.
E ora eccoci qui, in sella alle nostre bici, lungo la strada che ci porta di fatto verso il Foscagno, verso la prima asperità di questo Everesting Roam per me tanto sognato.
Marco e Simone sono belli in palla, dietro di noi c’è mr Birra ( Simone Bertin) su un furgone che ci seguirà per tutto il giro.
Quando Simone Bertin mi scrisse curioso di sapere cosa fosse questo #Borm10K rimase folgorato dalla sfida e, da uomo con un cuore grande si è proposto di aiutarci. E’ bastato chiedergli se volesse seguirci con una macchina che si è subito attivato con tanto di furgone. Mica un furgone qualsiasi. Un furgone con una spillatrice pronta a riempire bicchieri di birra fresca. Insomma, abbiamo l’ammiraglia dei sogni.
Io Marco e Simone affrontiamo le prime pendenze del Foscagno e io ripenso alla vigilia, all’ansia e a tutte quelle puttanate che mi sono portato dietro per giorni. Cerco di darmi delle risposte, forse tutta quest’ansia è nata perchè a questa sfida tengo particolarmente. L’ho sognata da tanto e per tanto. Mi ha spinto ad alzare nuovamente l’asticella, mi ha fatto disegnare un giro folle attraverso posti che sono delle università della bici. Nove passi alpini in 400 km quasi la metà oltre i 2000 metri di quota. Una follia che non sò se sarò in grado di portare a termine.

Ecco l’ansia forse è anche per questo. A differenza delle sfide passate questa volta non sono così certo di essere in grado di finirla, non sò se sarò all’altezza di portarla a casa. Di fatto sarà un giro che ci terrà in ballo per due notti. Nei programmi del Bonza l’arrivo di nuovo a Bormio è previsto circa per le 4 di Domenica mattina.
Il Foscagno al buio ha il suo perchè, anche quando un cerbiatto ci attraversa la strada, scappando nel bosco. La temperatura è ancora accettabile e il meteo sembra averci davvero graziato.
Simone in formissima si stacca quanto basta per iniziare a farsi insultare da Roccia. Passiamo metà salita a scherzare con Simone, lanciandogli battutine ironiche sul fatto che non ci voglia con lui… Si ride come pazzi, una delle poche certezze che avevo.
Ogni tanto la voce di Bertin dal fondo frena le nostre risate. Una voce utile a ricordarci di bere e mangiare, fondamentale se vogliamo davvero portarla a casa. Arriviamo in cima al Foscagno e superiamo anche l’Eira con il buio che ormai ha preso possesso del cielo. Prima di buttarci all’attacco della Forcola propongo una breve sosta caffè. Sono le 23.30 e prima di superare il confine mi sembra saggio approfittare di un ristorante ancora aperto che fa anche servizio bar.
Il gestore incuriosito nel vedere tre ragazzi entrare con caschetto e tutine da ciclisti ci chiede cosa ci facciamo in giro con le bici a quest’ora. I due Simone spiegano la sfida, mentre io e Marco ultimiamo di bere un ottimo caffè. Prima di salutare il signor Sergio ci regaliamo una foto con lui. Rimontiamo in sella, e ci spingiamo verso la Forcola. Un vento freddo si è alzato e ci batte in faccia. Sembra quasi inverno, non a caso ho pensato di mettere anche una giacca invernale nella borsa del cambio, puntualmente caricata sul furgone.

Il vero problema però non è il freddo, che a vederla bene è ancora gestibile, il dramma è che mi sta venendo sonno. Neppure la gioia di superare il terzo passo conquistando anche la Forcola e affrontare l’ultimo pezzo della salita del Bernina mi fa svegliare.
Affronto tutta la discesa verso St. Moritz e la successiva salita verso nuovamente la cima del Bernina con una sensazione di sonno che lentamente prende possesso del mio corpo. A nulla serve buttare nello stomaco zuccheri o bagnarmi la faccia con dell’acqua fredda. Ogni metro che supero fatico a tenere gli occhi aperti.
La mia testa elabora alla velocità del suono una serie di cause. Al primo posto metto la pizza mangiata a cena alle 19.30. Che poi era quasi una pizza e mezza. Al secondo la stanchezza e il fatto di non essere riuscito a riposare nel pomeriggio, maledetta ansia.
Mancano quattro kilometri per scollinare il Bernina. Simone e Marco sono avanti, il furgone ci ha aspettato in cima. Sono solo in mezzo alla strada. L’unica luce che mi illumina la via è quella sul manubrio della Renata. Per un attimo chiudo gli occhi e per poco non rischio di cascare. Neppure questo mi aiuta a svegliarmi, ma sono ormai in cima e quando vedo Marco e Simone l’unica cosa che riesco a dirgli è che voglio dormire. Propongo un micro sonno di mezzora nel furgone.
Non faccio tempo a finire la frase che vengo coperto di insulti. Li conosco da più di un anno e penso che per un attimo mi abbiano seriamente odiato.
Marco mi tira due schiaffetti belli secchi in volto, mi sposta di peso e dopo avermi insultato per quasi un minuto mi dice di rimontare in sella e partire.
“Ora scendiamo a Tirano con calma” mi dice Marco con tono severo ma senza perdere quel modo sornione di dire le cose. Ho perso il conto degli insulti e delle madonne che mi ha tirato dietro.
In cima tira un’aria fredda che sinceramente non mi aspettavo. Il termometro del mio Bryton segna 2°C.
Prima di rimontare in sella e scendere dal Bernina, cerco di riprendermi dal sonno con il migliore degli alleati, la caffeina pura. Butto nello stomaco una pasticca e riparto. L’aria fredda mi sbatte in faccia. Passiamo nuovamente davanti al bivio della Forcola, guardo Marco e sorridendo gli dico “Volendo se tagliamo di qui, andiamo a casa a dormire..” Lo sguardo di Marco si fa nuovamente serio per poi scoppiare a ridere. La discesa verso Tirano sembra non finire più. Dietro di noi come una specie di angelo custode il furgone. Ogni tanto una voce si sente dal fondo, è quasi sempre un incoraggiamento, un aiuto a tenere duro.

Arriviamo a Tirano e ci fermiamo per toglierci le giacche invernali. Mi sento una persona nuova. Della mia crisi di sonno manco l’ombra. Tant’è che mi rimetto a fare il pirla filmando il buon Roccia alle spalle mentre svuota la vescica. Con Simone invece non si riesce, è timido ed è capace di fare anche due Kilometri pur di trovare un posto riparato dove farla.
Quando riparitamo realizzo che è’ arrivato il momento di affrontare la mia più grande paura di questo Everesting Roam. E’ arrivato il momento di affrontare il Mortirolo. Ve l’avevo già raccontato, quanto timore mi incute il Mortirolo. L’ho fatto in auto quando tornai a Zorzino da Bormio e rimasi spaventato da quelle pendenze. Ora è arrivato il momento di affrontarlo in bici e un po’ di timoame assale in parte il mio corpo.
L’umore è di nuovo alto. Sono le 4.15, Pedaliamo tutti e tre affiancati lungo la strada che porta all’attacco del Mortirolo. Mi alzo sui pedali e accelero leggermente arrivando per primo davanti al cartello dell’inizio del passo. Mi fermo, scendo dalla bici e scatto due foto. Fisso quel masso con la scritta “Passo del Mortirolo” lo fisso come se dovessi sfidarlo in un incontro di pugilato. Lo guardo come il peggiore dei miei nemici. Mentalmente mi ripeto che ci rivedremo in cima.

Roccia e Bonza mi raggiungono quando sono appena rimontato in sella. I miei due compagni di viaggio mi fanno notare che dopo la crisi di questa notte sono tornato l’Andrea che conoscono. Credo intendano l’Andrea sempre pronto a scherzare a ridere ma anche a stringere i denti e soffrire in silenzio.
Affronto i primi Kilometri della nostra quinta salita con lo stesso passo dei miei amici, segno che mi sento bene. Dopo il secondo Kilometro le cose si fanno più serie. La pendenza sale di colpo passando al 12%. Mi rendo conto solo dopo aver superato i successivi due kilometri che quello era nulla in confronto al 18% che segna il Bryton. Bertin nel frattempo è salito in cima con il furgone cercando di riposare un minimo. Pedalo superando i tornanti pensando al prezioso lavoro che ci ha dato fino a qui. Senza le giacche invernali non avremmo superato la notte probabilmente.
All’inizio del sesto kilometro il mio passo ora si fa più lento, Marco e Simone mi staccano e io continuo in solitaria con i miei pensieri. La strada non accenna a spianare , in alcuni tratti la pendenza raggiunge picchi del 22%. Le gambe bruciano, il respiro si fa particolarmente affannoso. Tutta la fatica svanisce al tornante 11 quando davanti a me si presenta il monumento dedicato al Pirata. Lui che su questo passo seppe far innamorare tanti italiani anche non necessariamente amanti delle biciclette. Supero il tornante mandando un bacio alla scultura.

Sta albeggiando e io sono sul Mortirolo. Più romantico di così questo giro non potevo sognarlo. Gli ultimi tre Kilometri la strada alleggerisce la sua pendenza, pur restando costantemente tra l’8% e il 9%. Il contro alla rovescia dei tornanti è quasi ultimato.
Quando arrivo in cima trovo Roccia che mi attende allungandomi una birra media. Sono in cima, ho vinto io, ho scalato il bastardo. Dò una sorsata alla birra. Sono in palla, super carico.

Dopo le doverose foto di rito scattate dal mitico Bertin, ci mettiamo gli antivento e scendiamo verso Monno. Mentre affronto i tornanti in discesa mi rendo conto di quanto sia molto più pedalabile da questo versante. La discesa è discretamente tecnica, anche per via del fondo ancora un po’ bagnato in alcuni tornanti.
Raggiunta Monno ci spingiamo verso il Tonale, che di fatto ci porterà in Trentino. Il Passo di suo è corto, 12 km ma per arrivarci la strada è sempre leggermente in salita in alcuni tratti anche con punte che superano il 7% rendendolo di fatto per me interminabile. Per giunta buona parte è tutta al sole che da circa un’ora sta picchiando discretamente bene.

Io Marco e Simone affrontiamo il sesto passo di giornata, l’umore è sempre alto, ma passiamo buoni tratti di strada in silenzio con la testa bassa a menare. Quando arrivo in cima al Tonale sono le 9.30. Abbiamo tutti una voglia di colazione, una voglia di caffè che appena scesi, superata Cortina, perchè siamo poveri, ci fermiamo a Pellizzano e ci prendiamo quasi venti minuti di riposo davanti a caffè, cappuccini, brioches e torte varie. Siamo a 184 Km per quasi 5000 metri di dislivello conquistati. Siamo di fatto quasi a metà. Mentre divoro la prima Brioches sorseggiando il mio caffè doppio sento il ginocchio sinistro pulsare. Provo a stenderlo da seduto e sento un lieve bruciore. Non un bel segno. Non ci penso, ordino una fetta di torta e divoro anche quella, Marco e Bonza fanno il punto sulla strada con Mr Birra che ha superato la notte riuscendo anche a dormicchiare.

Consumata la colazione ripartiamo. La strada, che ci porterà al Passo Palade tende ancora a scendere fino a Varollo. I primi colpi di pedale vanno via tranquilli, il ginocchio non sembra dare problemi. Superata Varollo affrontiamo compatti un breve strappetto. Il caldo ora inizia a farsi decisamente fastidioso. Viaggio con la maglia completamente aperta. Maglia messa nuova, pulita e profumata quattro ore prima in cima al Moritorolo. Fa caldissimo. Alla fine dello strappetto quando mi risiedo sulla sella sento come una coltellata al ginocchio. E’ una fitta tremenda, dura un paio di secondi, forte e fastidiosa da mollare la pedalata. Alleggerisco il rapporto, cercando di dare le successive pedalate più agili. Il dolore si attenua ma non sparisce. Sento un bruciore insistente. Marco e Simone mi staccano di circa 300 metri. Dietro di me Simone mi affianca avendo capito che qualcosa non va. Mi domanda cosa è successo. Gli spiego del ginocchio. Gli faccio cenno che posso proseguire senza problemi.
Raggiungo nuovamente Roccia e Bonza, spiego anche a loro del mio problema senza però dare troppa importanza alla cosa. Siamo a 233 km di strada percorsa e dopo il Palade mancheranno solo altri due passi. Me lo fa presente anche Marco, specificando però che sarà lo Stelvio per due volte. Prima dal lato altoatesino poi da quello svizzero. Continuiamo a pedalare in gruppo, alternandoci però a tirare. Ogni dieci kilometri circa il primo passa in coda. Quando arriva il mio turno il ginocchio brucia da morire. Ogni volta che spingo la gamba con forza sul pedalino sento delle tremende fitte. Stringo i denti cercando di tenere una velocità decente. Il Passo Palade non è troppo lungo, neppure così impegnativo, sono 13 km al 4,5% medio. Il dramma è che esattamente come per il Tonale prima di arrivare al vero tratto di strada del passo, si devono superare circa 20 km sempre in leggera salita e costantemente sotto il sole. La vista è però incantevole, specie quando la strada sale mostrandoci la bellezza del Lago di Santa Giustina. Se non altro aiuta a non pensare a quando finirà la salita.

Intorno distese interminabili di meli. Siamo in Val di Non, e qui le mele crescono in ogni dove. Quando arriviamo in cima ritroviamo Bertin intento a spillare e distribuire birre ad alcuni ciclisti con al seguito le rispettive mogli in auto, che ci regalano un applauso e parecchi incoraggiamenti. Mi emoziono. Sono passate le 14:00, ci fermiamo anche in questo caso alcuni minuti. Ne approfitto per recarmi al bar e oltre ad ordinare una Coca Cola e una redbull chiedo alla cameriera se ha modo di darmi anche del ghiaccio in un sacchetto per metterlo sul ginocchio. L’ultimo Kilometro di salita è stato una vera sofferenza. Ancora fitte come coltelli. Non basta questo per togliermi il sorriso e la voglia di scherzare con i miei compagni di viaggio. Prima di ripartire nuovo video con Roccia alle prese con lo svuotamento vescica.

Una volta coperti ci spingiamo lungo la discesa del Palade. C’è un leggero venticello che ci da quel tanto sognato rifrigerio. Alla fine della discesa raggiungiamo Lana. Da qui inizia un lungo percorso ciclabile. Attraversiamo la via Claudia Augusta, o almeno credo fosse quella. Ammetto senza vergogna che non ricordo molto di quel tratto, perchè a tratti estremamente noioso. In Trentino le ciclabili non sono come a Milano. In Trentino le ciclabili sono in falso piano quando sei fortunato, e in salita quando la dea bendata ti dice male. Nel nostro caso, come ovvio che sia, non ci facciamo mancare nulla, partiamo dal falso piano, e arriviamo alla discesa, logicamente passando dalla salita. Ci tocca anche un discreto tratto di strada sterrata che regala un alto contenuto di santi e madonne che ci aiutano a non forare. Lungo questo tratto di quasi 50 Km perdiamo il contatto con l’ammiraglia. Simone Bertin ci attenderà a Prato allo Stelvio, ai piedi di sua Maestà.
Il lungo tratto ciclabile è per gran parte espsosto al sole. Iniziamo a sentire tutti la stanchezza. Siamo a quasi 20 ore pedalate. Abbiamo superato i 320 km e i 7000 metri di dislivello. Sì, inziamo ad essere stanchi e il sole che batte cocente sulle nostre teste non aiuta. Anche Bonza fin qui sempre lucido, da i primi timidi segni di cedimento. A poco serve bagnarsi con l’acqua della borraccia.
Ci fermiamo a Silandro, dove la ciclabile incontra una piccola zona di sosta obreggiata con tanto di fontana. Vorremo tuffarci dentro a quella vasca colma di acqua sorgiva. Dopo esserci rinfrescati ci sediamo su una panchina. Marco butta nello stomaco una manciata di caramelle gommose, Simone una barretta e io mi schiaccio un panino. Il silenzio culla la nostra sosta. Quel silenzio rotto poco dopo da Roccia che alzando la faccia esclama “Cosa cazzo stiamo facendo!”
In effetti anche io a pensarci bene mi rendo conto seriamente di quei numeri visti poco fa sul ciclocomputer. E per seriamente intendo dire che inizio a rendermi conto di quanto stiamo facendo. Siamo vicini. Guardo Marco e Simone e gli dico che sogno una doccia e scoppiamo tutti a ridere. Ripartiamo superando Silandro e Lana lasciando poco dopo la ciclabile. Prima di Prato allo Stelvio ci ricongiungiamo con Simone Bertin. Siamo pronti per sua Maestà.

Eccola li sua Maestà di fronte ai miei occhi. La stanchezza scompare come per magia. Scompare anche se sai che a breve dovrai di nuovo soffrire contro quei tornanti. Sai che proverà a respingerti, la tua testa potrebbe addirittura seguire una strada diversa. Potrebbe lasciarti e accettare la sconfintta. La scalata dello Stelvio dal lato altoatesino è per me un inedito, fino ad oggi ero sempre salito sempre e solo da Bormio.
Affronto a contatto con Simone e Marco i primi chilometri dei 25 totali di salita, dove ancora neppure vengono numerati i tornanti. I primi nove chilometri sono però tutto sommato tranquilli, tengo un buon passo nonostante tutta la strada percorsa dalle 21 della sera prima. A rileggerlo fa quasi paura.
Il primo tornante lo incontro superato Ponte allo Stelvio. Qui le pendenze si fanno più ostiche. Il ginocchio però non sembra dare più fastidio. Riesco anhe a rilanciare per qualche tratto la Renata alzandomi sui pedali. A Trafoi il panorama lascia spazio all’incredibile imponenza dell’Ortles che svetta maestoso proprio in fronte alla strada. Sta tramontando il sole e lo spettacolo è qualcosa di unico. Proseguo con un ritmo più lento e decisamente più affaticato supero Trafoi e la salita si fa più dura con pendenze medie attorno al 9% e con numerosi strappi improvvisi. Si continua così per circa 9 kilometri senza possibilità di respiro se non sui tornanti che in questo tratto sono piuttosto ravvicinati. Giunti al 25° tornante (oltre i duemila metri di quota) termina il tratto nel bosco e si incomincia ad intravedere la vetta del Passo che, comunque, è ancora lontana, anzi lontanissima. Un pizzico di sconforto mi invade. Quella fine tanto sognata prima ora mi sembra per un attimo così impossibile da raggiungere. Sono li in pendenza a faticare, a lottare per ogni metro conquistato che una incredibile voglia di Coca e Redbull con ghiacio mi assale. Nel frattempo, dei lunghi rettilinei si inerpicano lungo il fianco della montagna senza lasciare un attimo di tregua: le pendenze sono sempre costantemente tra l’8% e il 10%.

Esco indenne anche da questo tratto e posso affrontare gli ultimi impegnativi tornanti prima di raggiungere il cartello del Passo dove ad attendermi trovo, Marco, Simone e la nostra ammiraglia. Il freddo si fa sentire. Mi butto dentro all’albergo ordinando la seconda Coca e Redbull di giornata. Quella incredibile voglia che mi era venuto lungo la salita non si è certo scemato. Anzi per assudrdo si è fatto ancora più insistente.
Sorseggio con la delicatezza di un unno il mio cocktail di bibite mi godo la piacevole sensazione che scaturisce quando soddisfi una voglia che per giunta mi portavo dietro da quasi 12 km di salita. Esco dal bar e di colpo i brividi. Il ghiaccio e il tepore del locale non sembrano andare d’accordo con i 5°C in cima allo Stelvio. Rientro di corsa nella hall dell’albergo sbarbellando dal freddo e mi vesto indossando una maglia invernale e la giacca pesante.
Coperto a dovere affrontiamo la discesa e arrivati al bivio per Santa Maria prendiamo la strada che scende verso la Svizzera, affrontando tutta la discesa. Alle 21.40 siamo pronti per affrontare l’ultima salita, l’ultima asperità di giornata. L’ultimo sforzo che ci separa dal nostro Everesting Roam.
Sono letteralmente cotto, finito come pochi. Con un passo lentissimo affronto le prime rampe del versante elvetico dello Stelvio. Davanti a me Marco e Simone decisamente provati anche loro. Dietro Mr Birra a scortarci e illuminarci la strada completamente deserta. Durante la nostra ascesa abbiamo incrociato solo due auto. Ho perso il conto di quanta strada manchi, ormai mi regolo solo con il conteggio complessivo del dislivello. E’ un continuo conteggio mentale del dislivello che manca. Superiamo i 400 Km percorsi e con quel poco di lucidità rimasta penso che non dovrebbe mancare molto.

Quando davanti a me si materializza la dogana svizzera capisco che manca avvero poco. Mi emoziono al punto tale dal far correre lungo il mio stanco viso un paio di lacrime. Nel frattempo ho raggiunto Marco, ci guardiamo senza dire una parola, i nostri occhi parlano e si vedono nonostante la poca luce intorno a noi. Imbocchiamo la strada che ci riporta in cima allo Stelvio per la seconda volta. Non ci bastano, mancano ancora circa 200 metri di dislivello. Non è ancora finita. Spingiamo le bici nuovamente in discesa e ripercorriamo la stessa strada per andarci a prendere quei dannati 200 metri che ci mancavano. Siamo di nuovo in cima a sua Maestà per la terza volta. Non penso di esagerare nel dirvi che gli ultimi 30 km li ho fatti solo grazie alla testa e al cuore. Le gambe giaravano per inerzia, perchè ormai quel movimento fatto per 22 ore era diventato automatico quasi da fare invidia alla Rolex. Ci sarebbe da festeggiare, da fare bordello, ma siamo tutti e tre dvastati dalla stanchezza. Riusciamo a malapena a darci delle pacche sulle spalle e ad abbracciarci da tanto siamo stanchi. Quando abbraccio Marco e i due Simone mi devo davvero impegnare a non piangere dalla gioia.
Bertin più lucido di noi ci fa mettere in posa davanti al cartello per l’ultima foto in cima a sua Maestà.

Agganciati di nuovo ai pedali scendiamo verso Bormio, affrontando il buio e il freddo. Una volta a casa di Paolo, dopo esserci lavati e aver acquisito un minimo di forze, possiamo quanto meno brindare e festeggiare. Quando scarico la traccia realizzo in minima parte cosa abbiamo fatto. 414 km – 10024 metri di dislivello in 23 ore totali. Il nostro Everesting Roam è completato.

A distanza di diversi giorni ancora non sò trovare le parole giuste per descrivervi tutto quello che ho provato durante queste 23 ore in sella su 29 totali. E’ stato un mix di stati d’animo, di emozioni, di cose belle. Come ho detto ho voluto fortemente provare questa sfida per alzare ancora l’asticella, esserne uscito vincitore mi riempie di orgoglio. Questo è e sarà il mio ciclismo, questo è ciò che voglio fare in sella alla bici, non mi interessa essere veloce, sò di non esserlo e non mi interessa diventarlo. Io mi esalto così, facendo questo genere di cose. Mi piace sfidare il mio corpo, la mia testa. Mi piacciono questo genere di avventure, questi viaggi. Forse sono incosciamente masochista ma mi piace raggiungere la “gloria” attraverso la sofferenza. “Ex Duris Gloria”
Sono passate tre ore da quando abbiamo chiuso il giro e io ancora non dormo. Mi giro e rigiro nel letto. In sottofondo il “suono” soave del dolce dormire di Roccia. Penso e ripenso a tutto quanto affrontato. Dalle prime asperità della notte alla crisi di sonno, ai sorrisi con i miei compagni di viaggio, le battute gli scherzi. Ai momenti neri, superati anche grazie a loro. Ripenso a tutto fino a svenire nel letto.

Un ringraziamento speciale a Paolo Birrocci, titolare del negozio Spot-On Bike Shop di Bormio, che mi ha fatto posare il culo su una bici perfetta e ci ha donato ospitalità. Se passate da Bormio e volete pedalare lui fa al caso vostro.
Un grazie a Simone Bertin che ha chiuso anhe lui il suo Everestin Roam su furgone spillando birra Deqou Action Bear lungo la strada.. Il suo supporto lungo il tragitto è stato fondamentale.
Grazie anche ache a The Wonderful Socks e DotOut che mi hanno vestito con precisione e massimo confort considerando le temperature notturne e lo sbalzo termico
Per ultimo ma non certo per importanza un grazie a Bend36 che con i loro prodotti hanno saputo prendersi cura del mio corpo.
I limiti non esistono.
Per me siete già degli eroi per aver bevuto una birra alle 5.30 sul Mortirolo!
A parte gli scherzi… siete dei grandi!
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