Tornare a respirare aria ad alta quota

9 Maggio

A distanza di due mesi esatti torno a svegliarmi all’alba per uscire in bici.  L’emergenza da Covid, che ci aveva costretto a stare blindati in casa per due lunghi mesi ha allentato la sua morsa e con lei si sono ammorbidite anche le restrizioni. A distanza di due mesi si può tornare in bici e soprattutto si può tornare a vivere la bici come piace a me.

Sveglia alle 5:20 e alle 5.55  sono fuori casa in direzione Como. Insieme a me Walterino in un giro che sarà il più possibile da distanziati. Per l’occasione decido per farmi portare lungo le strade che arrivano al rifugio Venini, in cima a Pigra nella Valle d’Intelvi. Per me è una salita inedita, mai fatta prima e che volevo provare da tempo. Quale occasione migliore se non nel primo weekend di nuova libertà?

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I primi colpi di pedale hanno il sapore della libertà, di qualcosa che avevo perso e con enorme piacere scopro di aver ritrovato. Avevo perso tutto questo, tutte e incredibili sensazioni che mi procura, avevo anche dimenticato la fatica e il sacrificio nello svegliarsi prestissimo. Emozioni perse nonostante, durante il lockdown sia stato uno dei “fortunati” a poter usare la bici, seppur solo per andarci a lavoro.

Se siete ciclisti giusti capirete subito che un giro da casa in ufficio non ha certo lo stesso piacere, lo stesso sapore e le stesse emozioni di un giro  da casa al  Rifugio Venini.

Superata quella sensazione di essere in strada senza il permesso io e Walterino proseguiamo fino a Cernobbio, distanziati ben oltre i due metri.  Una volta arrivati al lago ci regaliamo la prima gioia della giornata. Un fantastico caffè. Quanto tempo, quanto mi mancava, e poco importa se lo abbiamo bevuto fuori dal bar e in tazzine di cartone. Per l’occasione io mi schiaccio anche una briosche, anche perchè come spesso accade sono partito da casa a digiuno.

Dopo Cernobbio e la sosta caffè, ripartiamo per andare verso Argegno, al bivio fuori dal centro di Cernobbio decidiamo di percorrere la strada alta, tenendoci il mangia e bevi vista lago per il ritorno.

Mentre ci dirigiamo verso Argegno, tenendo come sempre il lago a farci da compagno lungo il tragitto mi godo in tutto il suo splendore la bellezza del paesaggio che tanto mi è mancanto negli ultimi mesi. L’ho sognata tante notti questa strada, l’ho desiderata tante volte nell’ultimo periodo. Avevo così voglia di tornare a pedalarci che ora che ci sono quasi non mi sembra vero.

Dopo circa 40 minuti siamo ad Argegno, alleggeriamo i rapporti mettendoli sul 36-25. Si comincia a salire.  Due mesi esatti senza mettere la Renata su una strada in salita. Il mio terrore dovuto a questa lunga assenza svanisce dopo qualche chilometro. Le gambe infatti, almeno all’inizio, non sembrano averne risentito. Fino a San Fedele tutto fila alla grande, fatta eccezione per una breve sosta dettata da un piccolo problema tecnico occorso alla tacchetta della scarpa di Walterino. Sarà la mancanza di pendenza negli ultimi mesi, sarà il riassaporare quella strana sensazione di bruciore alle gambe, sarà tutto quello che volete, ma a me San Fedele pareva che l’avvesero spostata di qualche km più su. Non arrivavamo più.

Prima di rimetterci in marcia verso Pigra ci concediamo un nuovo caffè.

Mentre lo sorseggio dò retta a Walter che mi descrive il resto della salita come molto pedalabile, almeno fino al rifugio Boffalora. Dopo qualche chilometro mi rendo conto che il concetto di salita pedalabile è un concetto molto labile e soggettivo. A me sembra tutto meno che pedalabile, specialmente nei tratti in cui la strada corre dentro al bosco. Il fondo stradale è pessimo, sporco e parecchio rovinato, in alcuni tratti alzarsi sui pedali equivale a slittare con il posteriore. Mi rimetto seduto e alleggerisco il rapporto dietro andando a scalare la catena sul 28. La mancanza di salita in due mesi ora inizia a farsi sentire, per fortuna che c’è il panorama a darmi quell’aiuto che mi serve a livello di testa per andare avanti.

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I sette km fino a Pigra vanno tutto sommato bene, Walterino resta avanti io con il mio passo, appesantito e arrugginito dal lockdown, seguo distanziato di circa sessanta metri.

Raggiunta Pigra il paesaggio cambia totalmente. Sembra di essere trasportati in una città completamente diversa. Prati verdi destinati al pascolo ovunque, l’erba per effetto del bel sole che si è alzato sembra quasi dipinta, un po’ come il cielo sopra le nostre teste. Cinque chilometri di vera fatica per raggiungere il rifugio Boffalora che è preceduto da un breve tratto di discesa, da affrontare con tanta concentrazione, perchè la strada che corre in parte dentro un piccolo bosco di conifere è decisamente distrutta, a tratti sembra quasi una mulattiera.

Dal Rifugio Boffalora proseguiamo lungo la sola strada esistente, un cartello poco prima dell’inizio della salita ci ricorda dove stiamo dirigendoci, e funge anche da rifugio contro il sole per le capre presenti, lungo la strada se ne  trovano anche mucche al pascolo, quando gli passo di fianco sembra quasi che mni guardino come se volessero mettermi in guardia, la strada per raggiungere il Venini da li a poco si farà ancora più tosta.

 

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Superata un piccolo tornante si riesce a vedere la struttura del rifugio, sembra lontanissimo, continuo a pedalare senza mai perdere d’occhio il rifugio, che però va detto non sembra avvicinarsi più di tanto. La strada si inerpica passando ancora dentro un piccolo bosco, il passaggio questa volta dura pochi km. Usciti dal boschetto la valle si apre ai nostri occhi ed è uno spettacolo senza precedenti.

 

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Mentre continuo a salire e mente continuo a sopportare quel bruciore che invade le gambe sposto lo sguardo verso ciò che mi circoda. Un silenzio assoluto avvolge tutta la valle, il silenzio che mi serviva per sentirmi di nuovo in pace con me stesso. Il silenzio che piace a me, quel silenzio che mi permette di sentire solo il mio respiro che viene rotto solo dalla mia fatica.

Intorno a me uno spettacolo unico che mi fa brillare gli occhi, mi fa capire ancora di più quanto è stata dura stare senza a questo per due lunghi mesi.

Uno spettacolo e un silenzio che mi scuotono, e come spesso accade mi fanno commuovere. Una commozione che dura poco, giusto un attimo, una commozione che è stata quasi come una liberazione.

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La pendenza negli ultimi km si fa più severa, tanto da farmi ricorrere a portare la catena sul pignone del 30. Il clima molto umido non ha di certo aiutato. Ricorro ad un sorsetto di sali della borraccia e mi preparo per affrontare gli ultimissimi km di salita.

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Sono i più infami, perchè la strada è completamente sterrata, ghiaia e sassolini, buttati per di più in maniera casuale sul manto stradale.

Posso però leggere la scritta del Rifugio, posso finalmente rifiatare.

Una volta in cima, come immaginavamo il rifugio è chiuso, una delusio enorme per me che speravo di poter godere di una sosta ad alta quota. Facciamo tempo a fare un paio di foto e poi decidiamo di tornare giù. La discesa sarà almeno fino a Pigra “divertente” per via del fondo descritto in precedenza.

Scendiamo lentamente ripercorrendo il tratto sterrato, visto che la prudenza non è mai abbastanza decido di staccare il piede destro dal pedale. Finito lo sterrato mi riaggancio e continuo a scendere. Walterino è dietro di me, concentrato e super prudente. Ci sono discese che delle volte risultano quasi più faticose delle salite, questa credo sia una di quelle.

Arrivati nuovamente a Pigra posso finalmente rilassarmi. Aspetto che arrivi anche Walter prima di ripartire e affrontare il tratto di discesa da Pigra fino a San Fedele, decisamente più gestibile rispetto a prima. A San Fedele ci regaliamo una sosta panino. Bresaola e fontina, con la fontina che è stata tagliata  dalla signora del bar come se fosse una piastrella di ceramica, inteso che ha la stessa dimensione di una piastrella da bagno. Accompagno lo squisito panino con una bella coca-cola fresca. Consumato il nostro pasto siamo pronti per ripartire e scendere da San Fedele fino ad Argegno.

Mentre scendo a velocità sostenuta penso che le fatiche vere per oggi sono finite, ci toccherà solo la breve salita del Monte Olimpino che ci riporterà poi verso casa.

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Penso che non potevo trovare un modo più giusto di ricongiungermi con la mia amata Renata, non avrei potuto scegliere un posto più giusto e non poteva esistere una giornata più bella di quella vissuta oggi, umidità a parte.

Mi sono goduto ogni metro di strada percorsa, anche quelli in salita, mi sono goduto il momento e la compagnia del mio compagno di giro. Ho goduto nella vista che mi offriva l’altitudine e la montagna. Bentornata libertà.

 

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