Vista mare e ritorno, il mio Real Assault.

 

 

 

Si chiama Real Assault ed è a mio avviso la sfida più bella ed emozionante tra quelle proposte dai ragazzi di Assaultofreedom.

Dopo aver completato i primi step delle prime due categorie di sfide, Meters Matter e Altitude Attitude, mi mancava un Real Assault. I più attenti ricorderanno il mio tentativo in compagnia di Simone e Marco a Novembre dello scorso anno. Un tentativo bagnato per oltre dodici ore, un tentativo non andato a buon fine a causa del meteo, che non ha avuto pietà di noi.

Chi mi conosce bene lo sà, se decido di fare una cosa non c’è nulla che può farmi cambiare idea e io la voglia di completare un Real Assault ce l’avevo da almeno quattro mesi.

Ad essere sinceri, in principio avevo pensato di fare un nuovo Everesting, sempre sulla salita di Fonteno, per l’occasione avevo tirato in mezzo anche Matteo che da mesi mi chiedeva di provare l’emozione di una sfida “estrema”. Purtroppo quando andammo a fare un test a metà Gennaio mi resi conto che le condizioni meteo erano troppo impegnative per tentare una sfida così dura.

Qualche giorno dopo comunicai la mia decisione a Matteo ma gli promisi comunque un’avventura alternativa, un Real Assault. Matteo accettò subito con grande entusiasmo ma con un pizzico di timore, dovuto alla sua mancanza di preparazione. Sia chiaro, in bici il ragazzo pedala forte, fa gare a scatto fisso e a Novembre riuscì senza problemi a chiudere il magnifico giro delle Dogane fatto con i ragazzi di Assaultofreedom.

Con il passare delle settimane parlai del mio tentativo con Marco Rocca, uno che per questo genere di sfide ha sempre il consiglio giusto da darti. A sto giro, oltre ai consigli mi diede anche una notizia meravigliosa, quella che sarebbe venuto con me e Matteo.

Sabato 15 Febbraio.

Sono le 6:00 e sono davanti alla mia cara macchina del caffè. La sera prima ho premurosamente preparato tutto l’occorrente, stipando il mio spiderbag all’infinito. Lo osservo mentre soresseggio il mio immancabile caffè, è talmente pieno tanto da farlo sembrare un paracadute. Finita la colazione, mi vesto e alle 6.50 sono fuori da casa, punto di ritrovo e partenza.

Marco e Matteo stanno ultimando la vestizione, nel parcheggio di fronte ci sono Carlo e la Bea che hanno deciso di “scortarci” per i primi 150 km. Non potevamo chiedere gregari migliori di loro.

Sono le 7.09 quando ci mettiamo in sella, agganciamo le tacchette e diamo i primi colpi di pedale. E’ ufficialmente inziato il nostro tentativo. L’orario limite per chiudere il nostro giro da 24 ore saranno le 19 di Domenica.

 

Carlo dopo i primi km blandi si mette davanti a tutti, butta giù due denti dal pacco pignoni e inizia a menare, alzando di fatto in un amen la media oraria. Avete presente un cavallo? Testa bassa e menare, è a mio avviso la frase che meglio identifica Carlo in bici. Il motto perfetto per lui.

Ad Arluno imbocchiamo la ciclabile che porta fino al Naviglio Pavese. Per strada non c’è un’anima viva, il tempo promette bene il cielo è terso e sgombro da nuvole un chiaro segnale che almeno per la giornata di oggi non dovremmo avere grossi problemi.

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Lungo la strada oltre alla prima sosta pipì troviamo anche il tempo per fare una colazione come si deve, anche perchè io ero come sempre a digiuno. La presenza di Marco implica che ad ogni sosta, venga associata una discreta dose di ansia. Così fù per il suo tentativo di Gennaio, così sarà per questo. Le soste per Marco sono il male in questo genere di sfide, ma nonostante tutto trova sempre il tempo per riderci su.

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Dopo 85 Km arriviamo a Santa Croce, classico paesino del pavese alle porte di San Martino Siccomario. Intorno a noi solo immense distese di terreni agricoli. Alla rotonda, prima del paese, prendiamo la strada che porta verso Cava Manara e sei chilometri dopo siamo sul Ponte delle barche di Bereguardo con le nostre amate biciclette. La prima volta su questo ponte speciale, non poteva che accadere in sella alla Renata. Quando ci transito ho come la sensazione di poter scivolare da un momento all’altro. Decido di sganciare il piede destro dal pedalino, ho imparato ad essere previdente. Prima di ripartire ne approfittiamo per farci scattare una foto da un ragazzo che passava da li, e che vedendoci belli carichi sulle spalle non ha potuto resistere dal chiederci dove stessimo andando.

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Si riparte e dopo qualche chilometro la Bea ci saluta, ci ha accompagnato in sella alla sua MTB tenendo per molti tratti il forsennato ritmo di Carlo. La sister è sempre la sister. Una donna con le palle.

La sua presenza e quella di Carlo sono state molto apprezzate. Carlo poi è praticamente diventato una presenza costante in occasione delle mie “mattate”.  Dopo aver salutato la Bea, Carlo ci accompagna per altri 60 km buoni, staccandosi solo una volta arrivati a Tortona, quando i km percorsi sono 130. Devo essere sincero, quando ho realizzato che di chilometri ne mancavano almeno ancora altri 170 un piccolo senso di sconforto mi ha attanagliato. E’ durato poco, il tempo di riagganciarmi ai pedali e ripartire. Ora saremo solo io, Marco e Matteo, noi tre da ora fino a domani.

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Ognuno di noi si è equipaggiato con cibo di diverso tipo, Matteo è stato il più previdente, riempiendo lo zaino di barrette e panini. Ne ha talmente tante da non farcele quasi stare nello zainetto. A proposito di panini, il nostro primo pranzo lo consumiamo arrivati ad Arquata Scrivia. Prendiamo posto su una panchina al sole. Mentre mangiamo c’è un silenzio surreale. Nessuno parla. Come se la parola potesse in qualche modo rovinare il pranzo. Tutti concentrati a gustarsi quei quindici minuti di meritato riposo e soprattutto un pasto per lo meno decente. Io come solito punto tutto sul confortfood, una delle mie regole da sempre utilizzate in occasione di queste pazzie a pedali.

 

La teoria da me elaborataprevede che il cibo deve essere buono. Deve essere qualcosa che nel mangiarlo riesca, oltre a saziarmi anche farmi stare bene e mi aiuti a un po’ a livello di testa.  Quindi una bella focaccia con crudo, zola e lattughino. Sì, non era propriamente il pasto più leggero da consumare durante un giro come questo. Me ne rendo conto quaranta minuti dopo quando mi prende quella bella tanto quanto tragica sensazione di abbiocco. Ricordo di aver pensato che sarebbe stato bello fermarsi, scendere dalla bici e schiacciare un pisolino di un’oretta nel prato sotto al sole.

La sensazione di sonnolenza viene sconfitta con il prezioso aiuto dei miei compagni di viaggio, bravi a tenere alto il morale con le solite vagonate di cazzate. Nel frattempo abbiamo iniziato a salire. E’ una salita quasi impercettibile almeno fino a Busalla. Arrivati qui la strada si impenna all’improvviso. Per fortuna è solo per un breve tratto. Siamo ufficilamente arrivati sul passo dei Giovi. Iniziamo a sentire profumo di mare, ma sopratutto iniziamo a vederlo in lontananza.

Il Passo dei Giovi affrontato da Busalla è corto, praticamente uno strappo. Poco più di 2 km con pendenze che non sono per nulla proibitive. Una volta superato si affronta una discesa lunga quasi 20 km che ci porta alle porte di Genova.

Sento il mare, e mentre affronto una curva lo riesco anche a vedere. Ci siamo. La discesa ci galvanizza. Superiamo Bolzaneto, e iniziamo a vedere aumentare il numero di auto lungo la strada.

Siamo fottutamente felici, procediamo lungo la strada desiderosi di vedere questo dannato mare. Mentre percorriamo il tratto di strada troviamo una serie di cartelli che avvisano di lavori stradali lungo la carreggiata. Lo stesso fondo stradale è bagnato come se avesse appena finito di diluviare. Alziamo di poco lo sguardo e ci rendiamo conto di essere sopra al cantiere del nuovo ponte di Genova. Il gelo. Tutta l’euforia svanisce in un soffio. Il silenzio rotto solo dai rumori che il cantiere produce.

Ci vogliono un paio di chilometri prima di rimetterci a chiacchierare. Come se avessimo prima bisogno di realizzare quanto avevamo appena visto. Come se ci servisse del tempo per assimilare questa visione, il tutto sempre in sella alle nostre bici.

Arriviamo finalmente a Pegli. Piccola sosta lungo il molo. Alla vigilia avevamo fin da subito detto che arrivare al mare, partendo da casa, costituiva una specie di primo step. La sosta ci serve anche per questo, per ritirare il nostro premio. Foto e una barretta chiudono la sosta. Sono le 15.45. Siamo a otto ore effettive di pedalata e 200 km percorsi.

Prima di ripartire, mando un messaggio a Roby per avvisarlo del nostro arrivo verso le 22 circa. Ripartiamo spingendoci lungo la statale Aurelia, attraversando tutti i paesini di ponente.

Arrivati ad Arenzano,  affrontiamo un breve strappo,  io lo avevo già percorso in occasione della mia visita a Roby un anno fa. Superato lo strappo possiamo continuare lungo la strada che di volta in volta offre qualche piccola e breve salitina. Oggi non c’è neppure molto vento e anche questa è una bella fortuna. Io e Marco procediamo compatti, più dietro Teo che inzia a dare i primi segni di stanchezza. Abbassiamo il ritmo che fin qui non era poi neppure malaccio, circa 28 di media, permettendo a teo di rientrare e di rifiatare.

Io mi sento bene, questi duecento e passa chilometri non mi hanno per nulla devastato. Mentre proseguiamo, superando Varazze, con Marco pensiamo già a domani. Dopo la sosta lunga programmata a casa di Roby. Roccia è, a differenza mia e di Teo, l’unico ad avere già provato a ripartire dopo 300 km nelle gambe e poche ore di sonno. Mentre pedaliamo cerca di spiagarmi quanto ha dovuto sopportare in occasione del suo precedente assalto. E’ anche per questo che nei programmi inziali avevo previsto di pedalare 14 ore prima della sosta lunga.

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Arriviamo a Savona, mentre la strada scende leggermente prima di curvare sulla destra, vediamo di fronte a noi un’immensa nave da crociera. Sul ponte principale si vedono in maniera nitida i passeggieri divertiti e rilassati godersi l’aperitivo. Teo mi fa presente che sono pur sempre quasi le sei di sera, “E’ l’ora perfetta per l’aperitivo…”

Sarò sincero, ho urlato qualche tenera e candida imprecazione ai passeggeri, colpa dell’invidia raga. Nel frattempo siamo arrivati a Vado Ligure. Il sole inzia a fare spazio al buio. Il pedalare di sera resta a mio avviso l’essenza di questo genere di sfide. Ormai lo sapete, io amo alla follia pedalare di notte. Rende l’impresa ancora più speciale, per certi versi più eroica e forse anche più “estrema”.

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Nel frattempo mi prende una incredibile voglia di Coca Cola. Lo dico a Marco che siamo a Bergeggi, Teo sembra essersi ripreso dalla mezza crisi che lo aveva colpito ad Arenzano. Siamo a Spotorno e ricordo ancora a Marco che ho voglia di Coca Cola. La risposta del mio amico è rassicurante, “Adesso Andrea, al primo bar ci fermiamo…”

A parte che mi fa strano quando mi chiama Andrea, ma poi alla fine ci siamo fermati a Varigotti. L’ansia delle soste, la migliore amica del Roccia. In quel di Varigotti ci regaliamo una coca alla spina, io ne approfitto per aggiungerci una redbull. La signora del bar invece ci regala due pizzettine, inutile dire che sono state apprezzate e velocemente divorate.

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Prima di ripartire facciamo il punto della situazione. Abbiamo quasi 11 ore all’attivo di pedalata e 260 km percorsi. Teo è abbastanza provato ma non ne vuole sapere di mollare, Marco lo mette in guardia sul giorno seguente, ricordando che sarà ancora più dura. Ripartiamo che ormai è sera, ci allunghiamo fino a Pietra Ligure e alla seconda rotatoria decidiamo di fare ritorno verso Genova, mentre spingiamo le nostre bici ne approfitto per chiamare Roby ed avvisarlo che saremmo in zona sua verso le 23.

 

Se la presenza di Carlo e la Bea è stata apprezzata, la disponibilità e l’ospitalità di Roberto hanno reso possibile la buona riuscita della sfida. Roberto su mia richiesta si è reso disponibile ad ospitarci, offrendoci, una doccia, un pasto caldo, un posto dove dormire per qualche ora e tutto il necessario per preparare i panini del giorno seguente. Insomma ragazzi, un fenomeno.

Lo incontriamo appena arrivati a Genova Prà, quando i nostri ciclocomputer segnalano 13 ore e 37 minuti di pedalata e 338 km percorsi. In sella alla sua nuova e bellissima Pedemonte Rinoceros ci fa strada verso casa sua e nel mentre che ci diamo una rifrescata e sopratutto una improfumata ci prepara mezzo chilo di pasta al pesto che abbiamo spazzolato alla velocità del suono.

Durante la cena, definiamo le tappe successive. Sveglia per l’indomani impostata alle 4 del mattino, Marco propone di fare un paio di ore su Genova perchè il freddo a quell’ora sul Turchino sarà di difficile gestione. Roberto si propone di farci da guida su Genova diventando di fatto in un solo colpo l’idolo mio, di Marco e di Matteo.

Mi appoggio sul divano che è da poco passata la mezzanotte, i miei compagni di avventura dormono già, la situazione può essere descritta solo da una foto.

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Capitolo a parte. Potrebbero raccontarvi che il sottoscritto di notte abbia un sonno rumoroso, beh non è vero, sono tutte menzogne.

Meno di quattro ore dopo siamo di nuovo tutti in piedi. Roby, un sonnanbulo di professione ha già messo su un caffettino da moka a cui non ho potuto dire di no. Alle 4.30 siamo di nuovo agganciati ai pedalini per un tour di Genova.

In giro poche persone e va detto quelle poche sono abbastanza alticce di alcool, ma è pur sempre Sabato sera e sono in giro a piedi. Fa freschino, c’è un’aria fredda che dà abbastanza fastidio.

Compatti dietro a Roby ci spingiamo verso il centro della città, Matte sembra bello pimpante, segno che ha recuperato bene. Ci fermiamo per una sosta colazione vista mare per poi ripartire e passare da Piazza Ducale e dal Porto Vecchio. Al termine del tour Roby ci porta sulla strada che porta sul Passo del Turchino. Lascio Marco e Matteo andare avanti e ne approfitto per salutare quello che di fatto è stato un componente fondamentale di questa avventura, assegnandoli uno dei Kudos più meritati di sempre.

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Riparto e non senza fatica arrivo a riprendere Marco, Matteo invece è volato avanti con un passo decisamente veloce. Stiamo salendo dal passo del Turchino, fa un discreto freddo e in alcuni punti c’è anche la nebbia. Tengo la ruota di Marco affrontando i tornanti con un buon passo. Non sono stanco, mi sento bene, e a tratti non mi sembra vero. Ogni tanto lancio un urlo a Marco seguita da qualche cazzata delle mie. Lo sento ridere e cantare, quindi vuol dire che tutto procede per il meglio.

La vista dal Turchino me la immaginavo diversa,  la nebbia e il tempo non bellissimo hanno senza dubbio rovinato il tutto, negli ultimi chilometri si aggiunge una timida e sottile pioggia. Una volta in cima ne approfitto oltre che per le solite foto di ritiro anche per buttare nello stomaco una barretta.

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In cima al passo su uno dei due pali che tiene in piedi il cartello, c’è un adesivo che mi fa subito venire in mente un caro amico conosciuto grazie alla bici… L’adesivo è quello della POPOLARE e l’amico è Matteo più conosciuto come @felinocero.Che poi va detto, queste righe sono un po anche merito suo…

 

Ora ci spetta un bel tratto in discesa verso Ovada. Un tratto dove ho patito particolarmente il freddo. Tutto procede secondo programma, pedaliamo tranquilli lungo la strada che costeggia il fiume Orba, così fino ad Alessandria.

A questo punto inzia la parte forse più noiosa della nostra sfida. Raggiunta e superata Alessandria ci spingiamo verso Tortona prendendo poi la statale 211 della Lomellina.

Ecco la Lomellina è una cosa che non si può descrivere a parole. Un drittone unico, con un fondo stradale abbastanza compromesso. Intorno solo campi, solo distese di terreni agricoli, pochissime case e nessun bar o forme di vita. Ecco immaginatevi di fare quasi 80 km così. Un’agonia praticamente, che per fortuna si interrompe a Novara dove inziamo a rivedere timide forme di civiltà e di vita umana.

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Poco prima di Trecate incontriamo un cartello che è come un miraggio, non è quello che indica i chilometri che mancano a Milano ma bensì quello del Burger King. Marco ha bisogno di acqua,  Teo di mangiare qualcosa perchè è rimasto a secco con il cibo e io, neh io non ho potuto resistere dal richiamo di un hamburger.

Per tenere alto il livello di ignoranza di questa avventura decidiamo di accedere alla zona drive direttamente in sella alle nostre specialissime. Facciamo l’ordine, ma una volta arrivati allo sportello successivo veniamo avvisati dal commesso che con le bici non si può passare dal drive. Probabilmente abbiamo fatto tenerezza al personale che ha deciso di chiudere un occhio e servirci quanto ordinato e pagato. Consumiamo il tutto seduti sul bordo del marciapiedi.

Quando ripartiamo ci sentiamo tutti molto meglio. Mancano tre ore per chiudere da vincitori la nostra sfida, spingiamo sui pedali in direzione casa. Senza neppure accorgermene passiamo dalla stessa strada che faccio spesso di ritorno dal lavoro. Oggi però passare da qui ha un sapore diverso, nettamente più dolce, più piacevole.

Spingo la Renata lungo la strada e non posso non pensare a quanto ho fatto nelle 23 ore precedenti. Vengo travolto da un vortice di emozioni. Fin dalla sera prima della partenza, come spesso accade, pensavo che non sarei stato capace di farcela. Mi ero immmaginato pronto alla resa. Ancora una volta ho sorpreso me stesso, e credetemi, questo per me è il più grande dei risultati. Penso a quei numeri davanti ai miei occhi, quei numeri alla voce “lap time” che ad ogni colpo di pedale sono aumentati fino ad arrivare a 23 ore e 10 minuti. Ci penso e non riesco a trattenere le lacrime. Ci penso e non mi sembra vero.

Manca meno di un’ora e, essendo arrivati in quel di Arese con anticipo ci tocca girare per il paese. Se fosse una partita di basket, questo sarebbe quel momento che in gergo viene chiamato “garbage time” con la sola differenza che non c’è nessuno che ci sostiuisce, noi restiamo in campo fino alla fine.

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La fine arriva alle 16.37 ironia della sorte, poco distante un bar, dove per l’occasione ci regaliamo una delle birre più meritate di sempre.

Una delle cose che non dimenticherò mai sarà di certo la felicità negli occhi di Marco e di Matteo, la felicità di aver chiuso un giro da 24 ore effettive in 33 totali. La felicità di Matteo nell’essere arrivato alla fine soffrendo da pazzi ma senza mai gettare la spugna. La forza di Marco invece è stata quella di andare a fare un’everesting sulla salita di Oropa tre giorni dopo aver chiuso la nostra sfida, del resto lo chiamano Roccia e Mr Everesting mica per scherzo.

 

E’ stata un’avventura semplicemente magnifica, portata a termine senza faticare oltre modo, questa cosa ancora oggi mentre lo scrivo mi lascia davvero esterefatto. E’ stata un’avventura che mi ha fatto tornare a casa con la consapevolezza che la testa in questo genere di sfide, svolga un ruolo determinante, forse a tratti anche decisivo. E’ stato tutto magnifico. E’ stato speciale partire da casa e arrivare al mare, lo è stato ancora di più tornare di nuovo a casa il giorno seguente.

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Non sò come siete messi a gambe testa e follia, ma io un Real Assault lo rifarei anche domani, e mi sento in dovere di suggerirvi questa fantastica sfida.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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