My first Assault

Sabato 1 Giugno

Quello che a breve andrò a raccontarvi è il giro più folle più intenso più bello, insomma più tutto che abbia mai fatto in vita mia, sì anche più faticoso.

Forse chiamarlo giro non è corretto, non rende l’idea, perchè non è stato un semplice giro, è stato un viaggio, lungo la strada ma sopratutto dentro me stesso, nella mia testa e nel mio cuore, è stato un vero e proprio assalto alla libertà, e non poteva essere altrimenti, considerando chi ha pensato e disegnato questo giro.

La sveglia suona alle 3:40, le ore di sonno sono state come previsto pochissime. La sera prima l’ho passata a Torino ad un concerto e il rientro a casa all’una passata non ha permesso di dormire oltre le 2 ore scarse. Mi alzo a molla, senza avvertire il minimo segno di stanchezza, maledetta adrenalina che sei capace di alterare gli stati fisici delle persone.

Colazione fatta, questa volta riuscendo anche a buttare nello stomaco qualcosa di solido, tre mini brioches e una banana oltre all’immancabile caffè doppio. Dopo esseremi accuratamente vestito monto in sella e son pronto a partire.

Sono le 4.20 per strada non c’è nessuno, solo io con la mia bici. A proposito di bici, c’è una piccola novità, oggi sono in sella alla Mya. Io lo avevo detto che sarebbe stato un arrivederci. L’ho rispolverata causa guasto al cambio della Ridley e conseguente riparazione che và per le lunghe, un po troppo aggiungerei.

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Delle volte il destino fa scherzi simpatici, così il primo Assault della mia vita lo farò in sella a quella bici che in tante occasioni ha saputo condividere con me emozioni, fatiche e bestemmie, senza dimenticare il fatto che ha sopportato me per tanti chilometri e non è poco credetemi.

Il punto di ritrovo è il parcheggio dell’Esselunga di Saronno. Mentre percorro il ponte pedonale che da Valera va verso Bariana mi sfrecciano da tutte le parti una quantità pazzesca di coniglietti, per un attimo mi sembra di sentire la sigla dei Telettubies in sottofondo da quanti ce ne erano. La folle corsa piena di paura di questi animaletti mi costringe a fermarmi e fare 50 metri con la bici a mano, troppo rischioso passare agganciato ai pedali, per poco ne accoppavo uno. Rimonto in sella e riprendo a pedalare direzione Saronno, lungo la statale Varesina, poco prima di arrivare al punto prefissato per l’incontro, mi affianca in auto Francesco,  abbassa il finestrino e sorridendo mi fa notare che a ques’ora c’è in giro c’è proprio gente strana. Come dargli torto, bisogna essere davvero strani per mettersi in sella quando ancora non si è vista l’alba. Qualche minuto dopo sono al parecheggio dell’Esselunga ad aspettare insieme a lui l’arrivo del resto del gruppo.

Ore 5.10 gruppo compatto in marcia verso Como, a fare strada Stefano affiancato da Walter, dietro loro io e Daniele e a seguire, Francesco, Leppe e il Nonno. Spingiamo le bici verso Lomazzo mentre il sole inzia lentamente a farsi vedere all’orizzonte. Un’alba vista in bici credetemi è una vera emozione, per chi ama questo attrezzo (la bici) è qualcosa di unico. Lungo la strada come da previsione non si contano le cazzate che ci diciamo e le risate che facciamo, uscire con questo gruppo è sempre qualcosa di magnfico, talmente tanto da farmi dimenticare che mi aspettano tantissimi km sui pedali. Proseguiamo verso Como dove ci incontreremo con Umbe, la strada continua ad essere deserta al punto da non incrociare neppure una macchina per mezzo’ora. Il silenzio totale, rotto solo dalle nostre risate e dal suono soave delle ruote libere che girano.

Arrivati a Como, dopo aver come sempre percorso a cannone la discesa della Napoleona, con Walterino che rimane veloce come un proiettile, ci incontriamo con Umbe e dopo i saluti di rito ci dirigiamo verso il primo bar aperto per l’immancabile caffè. Il guaio è trovare un bar aperto alle 5.50! Dopo la stazione ne troviamo finalmente uno, caffè e cornetto all’albicocca, cazzate a nastro e storie ignoranti su IG, il menù è servito.

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Ci rimettiamo in marcia direzione Lecco passando dal Lago di Pusiano prima e quello di Annone poco dopo fino ad arrivare a Valmadrera. Il morale nel gruppo è altissimo. Superato il ponte sull’Adda a Lecco la strada cominica a salire dolcemente. E’ la prima salita di giornata, il Passo Culmine di San Pietro, una salita lunga ma tutto sommato soft, immersa in un paesaggio incredibile con il silenzio a farla da padrona. Unico lato negativo durante la salita ci dobbiamo fermare per un problema meccanico al freno anteriore della bici di Ste, la “black bitch”. Sembra che pinzi male, non una bella notizia, specie perchè l’unico negozio di bici vicino non è ancora aperto, sono pur sempre solo le 8.20. Stefano decide di proseguire, affronterà il problema una volta che inizierà la discesa.

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La strada ora sale in maniera più decisa, riesco a restare in gruppo non senza fatica, in fondo sono pur sempre un fottuto paracarro, non dimentichiamolo. L’asfalto attraversa un fitto bosco dove il solo suono che le mie orecchie percepiscono è il cinguettio degli uccellini e il mio respiro che, metro dopo metro si fa sempre più faticoso. Alle mie spalle il Monte Resegone la cui cima risplende illuminata dai raggi del sole. Mi stacco leggermente dal gruppo e mi ritrovo a percorrere l’ultimo km della salita in solitaria.

Arrivato in cima cerco con lo sguardo le bici dei miei compagni in prossimità del rifugio, ma non vedendole proseguo lungo la strada affrontando la prima parte di discesa. Molto bella ma in alcuni punti molto sporca, e oggi non posso contare sull’aiuto dei freni a disco della RIdley, me ne accorgo al primo tornante. Lo ammetto stavo per andare in terra. Mi accorgo di aver perso le misure della frenta con i pattini, dopo quattro mesi in cui non ho più usato la Mya ho perso completamente la mano. La differenza rimane abissale. Mentre affronto un nuovo tornante squilla il telefono, mi fermo per recuperarlo dalla tasca della maglia, è Stefano: “Ma dove cazzo sei finito, Eravamo su ad aspettarti”. Oh, giuro che le bici mica c’erano. Aspetto a ripartire, approfittandone per godermi il panorama e scattare un paio di foto.

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Raggiunto dal resto dei ragazzi, riprendo a scendere lungo la strada, davanti a me, Umbe, Walter e Ste. In discesa sono dei missili, disegnano traiettorie perfette. Lungo un tratto di strada senza tornanti mi sorpassa Dani in sella alla sua Open azzurra. Dani è’ il tipico ragazzo che emana simpatia, uno di quelli che non passi due minuti senza fare una risata. Insomma quel genere di persone che dovrebbero essere clonate per rendere il mondo un posto migliore. Mentre scendiamo affrontando i tornanti della discesa del Passo Culmine, Walter si deve improvvisamente fermare. Il manubrio della sua “SuperSix” si è allentato. Mi fermo insieme a Dani per dargli una mano passandogli una brugola più comoda da maneggiare. Risolto il problema riprendiamo a scendere raggiungendo il resto del gruppo. Davvero una bella discesa, in mezzo al silenzio totale, con pochissimo transito di auto.

In fondo alla discesa siamo in piena Val Brembana. Spingiamo le nostre bici in un tratto di strada meraviglioso. Uno spettacolo della natura. Un posto bellissimo da attraversare in bici. La strada taglia in due la montagna creando un canyon.

Putroppo ci dobbiamo nuovamente fermare per un problema al tubolare sulla bici del nonno. La sfiga ci perseguita, ha forato e nonostante la schiuma non si riesce a ripararlo. Il guaio è che la stazione dei treni più vicina è a Bergamo, circa 30 km da dove ci troviamo ora. In qualche modo si rimette in marcia e decide di avvicinarsi a Bergamo abbandonando il giro.

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Noi riprendiamo a percorrere quel meraviglioso tratto di strada scavato in mezzo alla roccia, fino a raggiungere la ciclabile della Val Brembana, ne percorriamo un breve tratto dove si susseguono una serie di gallerie fino ad arrivare a Piazza Brembana.

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Sono le 11.45, Stefano suggerisce di fermarci ad un bar per mangiare qualcosa. Siamo in prossimità dell’attacco al Passo San Marco e una volta che inizieremo a salire non ci sarà più modo di fermarci, causa mancanza di bar lungo la strada. Ne approfittiamo per un toast e una coca, il più coraggioso ( Dani) azzarda una bella media. Morale sempre altissimo, Stefano intrattiene i vecchi del paese,  presenti al bar con una veloce lezione sul cambio elettronico della sua bici. Mi allontano sorridendo Sempre uno spasso

Pausa terminata. Ricreazione finita. Si rimonta in sella, pronti per affrontare i 18 km che ci porteranno a quota 1992 metri.

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La prima parte è molto pedalabile, sembra quasi darti la possibilità di scaldare le gambe, come se volesse sfidarti. Nel gruppo c’è ancora forza di scherzare, battute e cazzate si sprecano. Arrivati a Mezzoldo la salita entra nel vivo. La pendenza passa bruscamente dal 6% al 12%, le mie gambe lo avvertono subito, mi alzo sui pedali cercando di non perdere contattato con i miei compagni. Quella con il Passo San Marco è una storia nuova per me, prima volta assoluta che lo percorro. Dopo aver affrontato i primi tornanti rallento il ritmo e butto uno sguardo verso l’orizzonte. La vista a prima pelle mi ricorda vagamente lo Stelvio.

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Quello che lo differenzia è probabilmente la difficoltà, personalmente mi è sembrato ben più duro il San Marco rispetto allo Stelvio.

Diciamolo, le salite senza il parapetto sono in assoluto il meglio che un ciclista possa desiderare. La vista può spaziare senza ostacoli e diventare fedele alleata per la conquista di ogni singolo metro di strada. Nel frattempo io ho appena superato un intero chilometro all’11%, e visto che tra poco più di un mese ho il mio personale appuntamento con la gloria, me lo sono fatto tutto in piedi sui pedali. Ora le gambe bruciano come se avessi un incendio in corso. Mi stanno ricordando che la strada per la gloria sarà come sempre faticosa, manco non lo sapessi già.

Continuo a salite con il mio passo da paracarro, nel frattempo dopo un’accurata ravanata nella tasca della maglia, pesco, scarto e azzanno una barretta. Fa caldo, la strada ora è totalmente esposta al sole. C’è un leggero venticello che mi soffia in faccia. Al passo mancano ancora 7 km e io sto lentamente accusando le poche ore di sonno. Ravano nuovamente nelle tasche e pesco un gel. Affronto un tratto di salita al 12%, mi alzo sui pedali per spingere la Mya, quando mi risiedo in sella alleggerisco il rapporto, sto salendo con un 36-30 e sto facendo una fatica bestiale, insomma tutto in perfetto stile paracarro.

Prima della cima, dopo aver percorso due mezzi tornanti con gli occhi chiusi dalla stanchezza decido di fermarmi al rifugio per un caffè doppio e una coca cola. Se l’idea di bere una coca dopo aver bevuto un caffè vi fa schifo vi assicuro che non è così tremendo come può sembrare. Rimonto in sella e affronto l’ultimo km con un discreto passo. In cima ad aspettarmi il resto del gruppo è un panorama che definire spettacolare non rende a dovere.

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Sul lato della strada c’è un baracchino, bevo un’aranciata a temperatura polare, pregando nel frattempo tutti i santi che non mi faccia finire sul cesso entro sera. Prima di ripartire oltre all’immancabile foto di gruppo scambio due battute veloci con Ste che si sincerava delle mie condizioni fisiche. In effetti non mi sento male di gamba, ho solo un gran sonno. In fondo, avremo una vita per riposare.

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Pronti a scendere. La discesa verso Morbegno è una specie di parco giochi. Il mio unico rimpianto è di non averla affrontata con la Peppa, con una bici con i dischi sarebbe stato sicuramente più divertente. La strada in alcuni tratti è piuttosto rovinata, non ricordo di aver visto buche enormi ma solo parecchi tratti molto usurati dove in alcuni punti si iniziava a formare un primo strato di ghiaia, assai pericolosa quando si scende.

Discesa nel complesso divertentissima, con la neve che ricopriva a macchie il paesaggio. Menzione per la temperatura, se durante la salita pareva di stare nella savana, una volta scollinato in direzione Valtellina siamo passati al freddo siberiano.

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A metà discesa mi fermo insieme a Leppe, Ste e Walter per riempire la borraccia ad una fontana, la temperatura è salita di qualche grado ma il vento ora si fa decisamente sentire. Walter mi avverte che una volta arrivati a Morbegno sarà la sauna. Prima di arrivare però c’è l’ennesimo imprevisto al manubrio di Walter che oggi non ne vuole proprio sapere di rimanere in fisso nella sua posizione. Dieci minuti di sosta prima di ripartire.

A Morbegno sauna fu. Una cappa di caldo che il comune potrebbe rientrare di diritto ad essere una frazione di Tunisi. Un caldo assurdo. Mentre cerchiamo di uscire dalle vie del centro paese che oggi ospitano tra le altre cose il mercato ci spogliamo delle giacche.  Siamo in un attimo a Cosio Valetellino con il ciclocomputer che segna 174 km per poco meno di 3400 metri di dislivello.

Realizzo solo superato Morbegno, con un veloce conteggio che chiuderò il giro oltre i 300 km. Il che significa chiudere anche una sfida Assaultofredom. Cioè non sò se mi sono spiegato. Il paracarro che chiude una sfida da 300 km. Se penso che a farli in macchina mi romperei le palle. Una volta arrivati a Sorico ritorniamo a vedere il lago di Como. Pedaliamo ora a un bel ritmo, dandoci il cambio di volta in volta. Mentre spingo sui pedali non riesco a non ammirare la bellezza del lago oggi tra le altre cose parecchio affollato, in fondo rimane il primo weekend di sole.

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Arrivati a San Siro ci concediamo un nuova pausa. C’è da riempire le borracce e magari buttare in pancia ancora qualcosa. Il caldo si fa sentire, così come anche la stanchezza, la vedo negli occhi dei miei compagni, ma viene molto più facile leggerci la felicità per questo spettacolare giro.

Prima della fine di una galleria perdo il contatto con i miei compagni, arrivo a Menaggio e come da previsione inizio a salire per Porlezza. Dei miei compagni però non c’è traccia, proseguo lungo la salita in totale solitudine quando i squilla il telefono, è Leppe, mi chiede dove sono finito, gli spiego che sono lungo la salita che porta a Porlezza. Ci ritroviamo nuovamente una volta terminata la salita. Ripartiamo ma io e Leppe perdiamo nuovamente contatto. In coppia superiamo la dogana che ci porta in Svizzera, poi poco prima di arrivare a Lugano mi stacco da Leppe ritrovandomi nuovamente da solo. Mi rendo conto di essere stanco quasi stremato. Mi fermo in un bar, ordino Redbull Cocacola e una fetta di crostata. Decido di are una pausa che mi aiuti a recuperare un pochino, il che mi costerà rientrare da solo fino a casa.

Quando riparto spingo la bici in direzione di Chiasso, lungo la strada provo in qualche modo a chiamare casa per avvisare sul mio possibile orario di rientro, purtroppo essendo in Svizzera il traffico voce e dati è bloccato. Il divertimento però inizia nel momento in cui mi rendo conto di essermi perso. Non trovo la strada per Chiasso, per due volte mi ritrovo a girare come un emerito cretino senza trovare però la strada per casa. Una volta trovata finalmente la strada per Chiasso riprendo a pedalare anche con un buon ritmo. Superato finalmente la frontiera rientro in Italia e come per magia dopo 2 km di strada il telefono inizia a squillare e vibrare notificandomi una quantità di messaggi che Chiara Ferragni scansate.

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Tra i vari messaggi anche una paio di vocali di Ste, che mi dice di avermi aspettato a Bizzarrone ma non vendendomi arrivare hanno ripreso la marcia verso casa. Hanno fatto bene, anche perchè alla fine sono passato da Chiasso e ora sto affrontando la salita di San Fermo, con 290 km nelle gambe e perchè no pure nelle chiappe. Una volta arrivato a Como mi dirigo verso Cadorago, apercorrendo la solita strada che faccio tutte le volte che torno verso casa dal lago. Penso alla strada fatta oggi, butto un occhio sul ciclo computer e credetemi mi devo strofinare gli occhi quando guardo i km percorsi, devo sforzarmi di non fare cadere le lacrime dall’emozione. Questo è il mio ciclismo, questo è ciò che mi piace fare, quelle di cui vi ho parlato sopra sono le persone con cui voglio condividere questo genere di emozioni. Non sono semplici compagni, alcuni di loro sono come dei fratelli.

Affronto il drittone di Rovellasca, mancano ormai poco meno di 20 km a chiudere il giro, ho le gambe che vanno avanti per inerzia, ho il cuore colmo di felicità, così tanto che non sento più la fatica e il sonno.

Arrivato a casa chiudo il giro con 320 km (che dopo aver sincronizzato su Strava diventano 311) e 4580 D+. I limiti non esistono, eccovi la prova.

 

Eccolo il mio Assault

Cattura

 

 

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