Sicilia Day 9 – Etna, il vulcano buono

Giovedì 16 Agosto. E’ arrivato il tanto atteso giorno. Il giorno che mai avrei voluto perdermi, il giorno che avevo fin da subito programmato quando decisi di passare le mie vacanze estive in Sicilia. Oggi è il giorno del vulcano buono, oggi è il giorno dell’Etna.

Sveglia alle 6.15, quando mi sveglio mi rendo conto di non essere per nulla riposato, la notte appena trascorsa l’ho passata per la maggior parte sveglio, facendo tanta, ma tanta fatica a prendere sonno, colpa del caldo e forse anche da quel pizzico di agitazione che mi prendeva se pensavo a ciò che oggi mi aspettava.

Carico la bici in auto e mi metto in marcia verso Catania. Il giro da me pensato è di partire da Mascalucia e percorre circa 27 km di sola salita, fino ad arrivare al Rifugio Speranza posto a quota 1910 metri sopra il livello del mare.

Mentre in auto mi avvicno a Catania, la sagoma dell’Etna lentamente si avvicina a me, due giorni prima sono salito fino a 2500 metri di quota arrivando fino ad uno dei crateri apertosi nel 2002, inutile raccontarvi l’emozione nel calpestare con le suole delle scarpe la sabbia nera posta sulla sommità del vulcano, inutile spiegarvi quanta gioia nel vedere dalla cima il mare e i vari peasi limitrofi.

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Oggi però ci salirò in bici, andando a realizzare una specie di piccolo sogno. Arrivato a Mascalucia parcheggio la macchina e scarico dal baule la bici. Mi cambio le scarpe mi metto in testa il cappellino di Controvento e monto in sella iniziando a pedalare verso Nicolosi. Dopo appena 2 km con la salita che ancora non ha iniziato a farsi sentire, vengo costretto ad aprire le danze al capitolo bestemmie. Mi accorgo di avere dimenticato la borraccia in auto, sono quindi costretto a tornare al parcheggio, non un grande inizio a dire il vero.

Recuperata la borraccia, rimetto nuovamente in strada  le ruote della bici, passando attraverso il paese di Mascalucia e seguendo le indicazioni per Nicolosi. C’è anche oggi un bel sole, la cima dell’Etna però ora, come spesso accade si nasconde dietro alle nuvole.

I primi 5 km vanno via tranquilli, tanto da spingere anche con il 53 sulle prime salite. Una volta arrivato a Nicolosi passo attraverso il centro città transitando su una strada con il fondo in pavè. La strada è addobbata da delle magnifiche luminarie, di quelle viste anche a Cefalù. Immagino lo spettacolo che sarebbe scalare l’Etna in notturna, con le stelle e la luna a brillare nel cielo, osservare i paesi da”alto scorgendone solo le luci, un po’ come avviene per il  Montegrappa Bike Night.

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La strada che entra e percorre il centro di Nicolosi è piuttosto stretta, alcune auto e un camion davanti a me devono spesso rallentare e fermarsi, constringendomi ad abbassare la velocità e la frequenza di pedalata. Una volta uscito dal centro città la strada si apre e  intorno come per magia spariscono caseggiati e negozi. La vista ora può spaziare su boschi e distese intere di sabbia nera, da dove spuntano aranceti e piantagioni di fichi d’India, come se la natura volesse lanciare un avviso, un messaggio, del tipo, io cresco ovunque.

Sto lentamente scalando quello che è il vulcano attivo più grande d’Europa, con le sue bocche terminali da cui escono fumi bianchi e grigi, che posso ammirare dalla lontananza, mi sto apprestando a salire lentamente di quota. Ad ogni chilometro percorso, ad ogni metro di quota conquistato posso osservare il vulcano buono sotto prospettive diverse.

Sono a quota 700 metri, la strada è larga e ben asfaltata, come mi ha ricordato la guida due giorni prima, la sede stradale fu ricostruita dopo l’eruzione del 1983. Dopo 2 km da Nicolosi si trovano i Monti Rossi, completamente ricoperti da una bella pineta da dove posso sentire il canto delle cicale. Lungo il percorso c’è un discreto traffico, specie di bus, che in alcuni casi si vedono costretti a strombazzare per avvisare chi scende lungo la strada del loro arrivo, in più di un’occasione, al suono delle trombe, mi prende un mezzo spavento.

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Le pendenze sono piuttosto dolci, almeno fino a Piano San Leo, posto dopo poco meno di 6 km di salita. Da qui in poi la strada si impenna, inoltrandosi tra vari conetti eruttivi e isole di vegetazione (le “dagale”) incastrate tra le colate laviche. Una serie di duri tornanti porta al piazzale di Piano Bottara, sede di un arrivo di tappa del Giro d’Italia circa vent’anni fa.

Decido di fare una prima sosta, per riempire la borraccia, ad un baracchino posto sul ciglio della strada e di mettere nella panza una barretta. Alla ripartenza ho ancora 17 km di salita e oltre mille metri da scalare.

Ogni curva percorsa il territorio si fa sempre più lunare, la vegetazione sparisce lentamente, lasciando spazio a qualche piccolo cespuglio lungo il sentiero e a qualche fiore. Il resto è tutto una colata di lava che ricopre la terra.

A circa 8 Km dall’arrivo in cima mi accorgo che il tempo sta cambiando, la vettà del vulcano ora è completamente ricoprperta da una gran quantità di nuvole e la temperatura inzia a calare, tant’è che devo prontamente rivestirmi allacciandomi la cerniera della maglia fino al collo.

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Inizio ad avvertire la fatica, quella vera, a 5 Km dall’arrivo, con la strada che si inerpica in maniera più decisa lungo vialoni dritti senza possibilità di rifiatare, la forza per spingere la bici me la danno oltre alle gambe anche la visione dell’altimetro. Imposto un countdown nella tesa, guardo i metri di altitudine 1680, dentro me mi ripeto che è quasi finita, che devo resistere, che mollare ora non avrebbe senso, ma poi secondo voi potrei mai mollare? Potrei mai arrivato fin qui lasciarmi scappare di mano questo sogno?

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Continuo a salire e la temperatura continua a scendere, inizia a fare quasi freddo, fortuna che per la discesa mi ero prontamente munio di mantellina. Intanto sono arrivato a 2 Km dal rifugio Sapienza, e dopo aver superato un tornante lo posso finalmente vedere.

L’emozione nel vedere la mia meta a portata di mano mi fa cadere una lacrima sul viso, mi alzo sui pedali e mi metto a spinfere più forte che posso. I battiti del cuore si alzano, le gambe iniziano a bruciare, la fatica si fa sentire, ma chissenefrega, il rifugio è li ad aspettarmi, una volta arrivato potrò sedermi al bar e godermi birra e panino.

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Lunghe lingue nere si susseguono lungo il percorso, con le nuvole che vanno a tratti a coprire la strada da me percorsa qualche minuto prima. Davanti a me ora, un gruppo di quattro ciclisti che parlottano mentre scalano gli ultimi chilometri della salita, anche per loro la fatica è quasi giunta al termine.

Ecco il cartello che sognavo da settimane, eccomi finalmente in cima. Un senso di soddisfazione si fa vivo dentro al cuore, sono arrivato in cima. Mentre mi fermo a ridosso del cartello per fotografarlo una simpatica famigliola tedesca, poco lontana da me, mi osserva con occhi quasi increduli. Fa un freddo porco, c’è voluto un secondo per avvertirlo appena mi sono fermato, prima di ripartire e fare gli ultimi 100 metri che mi separano dal bar e dal mio premio, assolutamente meritato.

 

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Terminato di gustarmi il mio personalissimo premio, è tempo di scendere per tornare alla macchina. In genere la discesa è da sempre uno dei momenti più spensierati per me, poca fatica e grandi velocità, questa volta però le condizioni meto mi lasciano quel pizzico di timore. Le nuvole sono bassissime, in alcuni casi non riesco neppure a vedere la strada, il freddo mi è entrato nelle ossa nonostante la mantellina, scendere a 50/60 km/h da qui sarà quasi una sofferenza.

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Rimonto in sella e mi appresto ad affrontare la discesa, dopo appena 2 km mi accorgo di avere le mani freddissime, affronto i primi due tornanti e poco dopo un brivido di freddo mi sale lungo la schiena. Continuo a scendere a cannone lungo la strada, affronto i tornanti e finalmente arrivato a 1200 metri di altitudine la temperatura si fa un poco più gradevole, quanto basta per non sentire più il freddo provato all’inizio.

Sono arrivato alla macchina, mi sgancio dai pedali e levo subito le scarpe restando seduto sul sedile del passeggero a rilassarmi. Ripenso alla salita, ripenso a ciò che ho fatto con le mie gambe e con la forza di volontà che non mi ha mai abbandonato anche quando freddo e fatica hanno inziato a farsi sentire.

Questa per me è la vera essenza del ciclismo, spingersi oltre i propri limiti, spingersi oltre la stanchezza, arrivare in cima ad un vulcano, fermarsi dove la strada finisce, scoprire il divertimento attraverso anche alla stanchezza.

 

Ah dimenticavo, ETNA CONQUISTATO!

 

 

 

 

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