Selvino.

Ci sono giri che nascono dopo giorni interi a meditarci, a rivederli, a ridisegnarli su Strava. Ci sono giri invece, che ti vengono in mente in automatico, in maniera totalmente naturale. Giri che nascono e prendono forma in un istante. Giri che vivi immediatamente nella mente nei pensieri e anche nel cuore.

La storia di questo giro è nata in maniera naturale, spontanea e dannatamente automatica. E’ bastato udire una parola, durante una cena, per “partorire” in un secondo tutto il giro. E’ bastato sentire una normalissima frase pronunciata da Nico durante una cena tra amici: “Nel weekend sono a Selvino, ci vediamo da me a pranzo che griglio?”

Si, lo ammetto, la parola “griglio” ha semplificato il tutto, ma la lampadina si è accesa a sentire la parola Selvino. Se non sapete cosa sia Selvino, mi spiace ma non possiamo essere amici. Scherzo!!

Selvino è un comune di poco più di 2000 anime, situato sull’altipiano che sovrasta la val Seriana. E’ posto a 960 metri sopra il livello del mare e per raggiungerlo bisogna scalare una salita lunga 11 chilometri. Per gli amici granfondisti è la salita principale della “Felice Gimondi” la più famosa GF che si corre nella bergamasca. La salita che porta a Selvino si prende da Nembro ed è caratterizzata da 19 tornanti che si susseguono tra loro, fino a formare un serpentone.

Prima di arrivare a Nembro, partendo come sempre da Zorzino, ho prima un trenta chilometri da fare, per giunta, scopro la sera prima della partenza, che la statale è chiusa al traffico dalle otto alle dieci per una gara podistica. Partenza fissata alle 7:15, gestione sveglia impeccabile, colazione al volo, vestizione in perfetto “Bikeporn”, grazie agli amici di Controvento e Morvelo, e si monta in sella.

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Mi godo il panorama del lago, per poi salire verso Piangaiano, transito dalla famigerata statale e incrocio tantissimi runner, chi già pronto, chi un po’ meno.  Nel frattempo sono a Endine, torno a costeggiare un lago, più piccolo, ma altrettanto meraviglioso. Durante gli inverni più rigidi le acque si ghiacciano andando a formare nei punti più vicini alla riva dei robusti lastroni di ghiaccio che permettono di percorrerlo a piedi, i più coraggiosi anche con i pattini. Poco prima di Spinone imbocco la strada alla mia destra che sale verso il paese di Cene. La salita non è troppo dura e offre un panorama mozzafiato sul lago di Endine, la cui bellezza migliora ad ogni metro di salita percorso, ad ogni colpo di pedale.

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Continuo a salire anche se con un dislivello abbastanza contenuto, il tutto attraversando la strada della Valle Rossa. Il panorama sotto di me è sempre più mozzafiato. Il lago di Endine assume colorazioni che sfumano dal blu intenso al verde bottiglia. Arrivo ad un bivio e imbocco la strada che mi porta verso Albino. La vera salita di oggi inizia lentamente ad avvicinarsi, ma prima c’è un breve tratto in discesa che mi porta alle porte di Nembro.

Prima di avvrontare Selvino ne approfitto per fare il pieno di acqua, in assenza di fontane in zona mi fermo in un bar all’entrata del paese. Caffè, acqua e un biscottino, giusto per avere gli zuccheri giusti per affrontare i tornanti del serpentone. Rimonto in sella e mi dirigo verso l’inizio della salita. Le strade sono piene di colleghi amatori con le loro specialissime che pedalono in totale spensieratezza lungo le prime rampe della salita. Mai visto così tanti amatori in strada, sembra quasi di partecipare ad una granfondo.

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La strada è meravigliosa, manto stradale in ottime condizioni, panorama imperioso che da sulla valle sottostante. Ogni tornante è segnalato con dei numeri decrescenti, e ognuno di essi è dedicato a un ciclista della zona, non a caso Selvino è soprannominata e conosciuta per essere la salita dei campioni bergamaschi. Si parte dal tornante 19 dedicato a Diego Magoni e si finisce con quello dedicato a Felice Gimondi che questa strada da ragazzo l’ha percorsa chissà quante volte, essendo nato a Sedrina, una pesino non molto lontano da qui.

La salità non è durissima, ha una pendenza media facilmente pedalabile, l’unica difficoltà nei mesi più caldi può darla il sole, che illumina e riscalda con i suoi raggi buona parte degli undici chilometri di strada. Proseguo a salire, arrivo al tornante 13 dedicato a Marco Pinotti, insieme a me lungo la strada ci sono sempre almeno una decina di colleghi amatori, c’è chi prova a scattare in salita, alzandosi dalla sella, chi preferisce godersi il panorama e la strada, chi ancora arranca in evidente difficoltà. Io come al solito salgo con il mio passo, ogni 2 km rilancio la bici alzandomi sui pedali, aumentando la frequenza di pedalata, e purtroppo anche quella cardiaca. Mentre salgo in sella alla Mya mi accorgo che quella che sto percorrendo è una salita altamente allenante. Non ha strappi importanti, sale abbastanza costante ed è lunga quanto basta per fare lavori specifici. E’ altamente probabile che il prossimo inverno il sottoscritto la inserisca in qualche giro in zona lago (anche perchè il 2019 sarà un anno ricco di impegni tosti, ma di questo ve ne parlerò più avanti.)

Nel frattempo sono arrivato al tornante dedicato a Flavio Giupponi, ancora sette tornanti e sarò in cima. Guardo l’orologio 9.34, mi accorgo di essere dannatamente in anticipo. Penso che una volta in cima dovrò inventarmi almeno altri 40 minuti di strada, per non arrivare troppo presto. Tornante 7, Giuseppe Guerini, di cui ancora oggi ricordo perfettamente la sua vittoria di tappa al Tour del 1999, quando correva per la Telekom. Quella tappa la guardai a casa con il mio vecchio, finiva sull’Alpe d’Huez. Durante la corsa si scontro con un imprudente fotografo tedesco che lo fece cadere. Giuseppe riuscì a rialzarsi e a vincere la tappa. Uno spettacolo unico.

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Poco prima del tornante dedicato a Pietro e Vittorio Algeri, altri due magnifici ambasciatori del ciclismo italiano, un gruppo di tre ragazzi si mette a scattare, anticipo il mio lavoro di ripetute andando dietro alla ruota dell’ultimo dei tre. Salgono belli spediti, io da paracarro quale sono devo faticare davvero un casino per non perdere troppo contatto con loro. Mentre salgo in piedi sui pedali, il ciclocomputer non smette di mandarmi avvisi sonori. Poverino, mi sta solo ricordando da almeno 40 secondi che sono andato fuori soglia, ma del resto lui non sà che ho deciso di stare dietro alla scia dei tre ragazzi. Reggo per un altro chilometro, poi riprendo a pedalare al mio ritmo. Anche davanti a me si sono calmati. Al tornante numero 4, dedicato a i fratelli Pesenti, li riprendo, uno di loro è sfinito, lo affianco salutandolo, contraccambia con il poco fiato che gli è rimasto. Sul suo viso una palese smorfia di fatica che mi porta a chiedergli se va tutto bene. Mi risponde positivamente, poi guardandomi con aria sfinita mi dice che è partito questa mattina alle 5.30 da Peschiera del Garda!! Una roba da pazzi suonati.

Siamo arrivati al terzo tornante, questo è in onore del “falco”, Paolo Savoldelli, un altro di quelli che quando arrivava in volata ti faceva saltare sul divano come un grillo. Penso seriamente che Paolo sia ancora oggi uno dei migliori discesisti mai visti nella storia del ciclismo. Una scheggia incredibile, un proiettile che anche le moto delle tv faticavano a stargli dietro. Manca poco alla cima, nel frattempo ho deciso, una volta arrivato a Selvino dopo la meritata rifocillazione, salirò ancora per qualche chilometro arrivando fino ad Aviatico.

Tornante numero 2. Altro grande del ciclismo, Ivan Gotti. Vincitore di due corse rosa, uno scalatore puro, di quelli che si fa fatica a tenere quando partono. Sarà un caso, ma proprio dopo il tornante la strada sembra salire un poco di più. Ormai manca poco, pochi metri e sarò finalmente in cima. Prima manca l’ultimo tornante, il più bello a livello di personaggio a cui è dedicato. L’ultimo tornante prima dell’arrivo a Selvino è dedicato a Felice Gimondi, quel ciclista di cui il mio nonno mi ha raccontato vita, morte e miracoli. Di Gimondi sapevo tutto da quando andavo alle medie. Un campione completo, uno capace di vincere tanto. Un campione capace di vincere in tutti i modi. In volata, in salita, nelle corse di un giorno, ai grandi giri. Gimondi è uno dei sette corridori ad aver vinto almeno una volta Giro, Tour e Vuelta. A queste si aggiungo le vittorie alla Roubaix, a due giri di Lombardia al mondiale su strada del 1973. Un campione totale, un campione vero.

 

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Sono arrivato in cima. Davanti a me un bar. La prima cosa che mi salta all’occhio è l’incredibile quantità di bici posteggiate in ogni dove. Fatico a trovare un posto libero lungo il muro di cinta del locale, dove lasciare la Mya. Una volta entrato mi godo una birra piccola, meritata e schiumata in un sorso solo, prima di ripartire, direzione Aviatico, addento una barretta. Mi riaggancio ai pedali e riprendo a pedalare. La strada che porta ad Aviatico ha subito un tratto abbastanza tosto, una volta superato questo tratto più duro è facilmente percorribile. In cima si puà godere di una discreta vista sulla valle.

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Ora posso mettermi d’impegno a trovare la strada per arrivare a casa di Nico e godermi l’altra parte bella della giornata, la griglia!

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