Tanti auguri bicicletta

Oggi la bicicletta compie 201 anni e mi viene spontaneo e naturale provare a ricordare la mia prima bici e i miei primi giri.

La mia prima bici era bianca e blu, fu un regalo di mio nonno e ho un vago ricordo di quando da bambino mio padre mi mise per la prima volta sopra, avevo tre anni e ricordo che, a differenza dei miei coetanei, il primo giro su quella biciletta lo feci senza che ancora venissero montate le rotelle, in quel primo giro non servirono, le mie rotelle quel giorno furono le grandi mani di mio padre, posate sotto il sellino. La strada era un immenso prato verde che in caso di caduta avrebbe avuto il compito di farmi sentire meno dolore. Sono abbastanza certo di aver protestato per la mancanza delle rotelle, e conoscendo mio padre sono altrettanto sicuro che mi abbia risposto dicendomi che non era nulla di complicato, che non avrei dovuto aver paura perché “Tanto ci sono io che ti tengo dalla sella”.

Se chiudo gli occhi ora ho un’immagine del mio vecchio piegato sulla schiena, che con un passo accelerato mi veniva dietro, la sua voce profonda ogni secondo mi ricordava che non avrei dovuto smettere di pedalare.

Ricordo che quelle mani posate sotto la sella ad un certo punto hanno lasciato la presa e senza accorgermi ero lì a pedalare da solo in equilibrio precario con il cuore però pieno di gioia. Come tanti bambini nati nei primi anni 80, la bici era uno dei passatempi preferiti, mica come oggi che vivono in mezzo a console e marchingegni elettronici di ogni tipo. La bici era tutto, ci si passavano giornate intere, a volte a fare gare, a volte a fare sfide a cronometro altre ancora fingendo fossero grandi moto. Si giocava a fare gli inseguimenti, chi nella parte del ladro, chi in quella del polizziotto. La sera dopo averla posata si faceva la conta delle sbucciature e delle botte dovute a cadute multiple.

A dodici anni, mio padre mi regalò una “Saltafoss” passai l’intera estate in sella a quella bicicletta, lo obbligai a farmela portare anche al lago solo per il gusto di andare con altri amici a saltare in una cava, poco lontana dal campeggio dove passavamo i weekend estivi e dove puntualmente tornavamo a casa sanguinolenti per via dei voli che faveamo nel tentativo di saltare più in lato possibile. Aveva il cambio a mò di macchina, posizionato sul tubo orizzontale, e degli ammortizzatori sulla forcella. Andavo spesso in giro insieme a Cri e amio padre nel Parco delle Groane, e molto spesso era papà che ci lanciava sfide di velocità.

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Poi venne il periodo della Mountain Bike, completamente diversa da quelle in commercio oggi, sia per geometrie che per peso e rapporti. La mia prima MTB, regalata per la promzione agli esami di terza media, non ho ancora smesso di usarla, e se da ragazzo era la bici che usavo nei giri con mio padre, oggi è il mezzo con cui accompagno mio figlio nei suoi di giri. Il cambio era uno strumento che avrebbe tranquillamente potuto denuciarmi per maltrattamenti. Muovemo quelle due manettine poste sul manubrio con una violenza che se avessero potuto parlare un “vaffa” me lo avrebbero detto con molto piacere.

La prima volta su una bici da corsa invece, avvenne a sedici anni. Un sabato mattina mi lasciai convincere, senza neppure troppa fatica, da mio nonno accettando di andare con lui e mio padre nella campagna pavese, per oltre sessanta chilometri. Quello fu il mio primo giro su una bici da corsa, quello fu il momento in cui nacque il mio amore e la mia passione per questo magnifico attrezzo, capace di emozionarmi come pochi altri al mondo. Di quel primo giro ricordo che fu su una Colnago “Master Light” con telaio Columbus in alluminio leggero e cambio Campagnolo con un pacco pignoni 11-26 successivamente ribattezzato come “lo spacca gambe”. Anche allora come oggi facevo fatica a mangiare, così lungo uno degli ultimi strappi di giornata andai in crisi di fame, bastarono un panino con la marmellata offerto da mio nonno e un paio di smadonnamenti del mio vecchio per farmi passare il momento di fatica.

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La fortuna  non mi ha permesso di replicare con frequenza quel primo giro nel pavese, il destino ha voluto che quel signore con i capelli bianchi, gli occhi azzurri e la voce profonda che nel mio primo giro mi teneva per la sella, volasse in cielo per continuare a pedalare in mezzo alle nuvole e di tanto in tanto buttare uno sguardo giù a vedere il suo ragazzo, ormai cresciuto, cimentarsi con sfide in salite e passi alpini. Non so quanto darei per poter fare di nuovo un giro con lui oggi, sono sicuro che una volata al cassonetto potrei anche vincerla.

Il mio augurio alla bicicletta è di passare i prossimi 201 anni con la stessa capacità di unire le persone come riesce oggi. Di continuare a essere una malattia per tantissime persone che come me, puntano una sveglia nei weekend per uscire con lei.

 

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