Oggi voglio raccontarvi di quella volta in cui decisi di andare a fare visita alla Celeste Patrona ma andiamo con ordine.
La Celeste Patrona è la Madonna del Ghisallo protettrice dei ciclisti, l’idea di proclamarla tale fu di don Ermelindo Viganò. Il sacerdote incontrò personalmente Papa Pio XII il quale a seguito della presentazione della proposta da parte delle Autorità Religiose e Sportive nonché dei Corridori del Giro d’Italia del 1949 elesse e decretò, con breve pontificio del 13 ottobre 1949, la Beata Vergine Maria del Ghisallo Celeste Patrona dei Ciclisti Italiani.
Durante la cerimonia di dedicazione, nel 1949, una grande fiaccola di bronzo benedetta dal Papa, fu portata da Roma al Santuario da una staffetta di ciclisti; gli ultimi due tedofori furono Bartali e Coppi. La fiaccola è ancora oggi presente e sempre accesa, a ricordo dei ciclisti caduti ed a manifestazione della fede dei vivi.
E’ il 25 Luglio del 2016, da due giorni, sono rientrato a casa dopo una settimana di vacanza in Sardegna, la mattina la sveglia suona prestissimo, alle 6.00 e come da previsione della vigilia decido di salire in sella e partendo da casa raggiungere il Santuario del Ghisallo.
Così a bordo della Mya esco di casa con il cielo plumbeo accorgendomi che le lenti da sole non sono state una mossa tra le più astute. L’obiettivo del giorno rimane lo stesso però, arrivare al Passo del Ghisallo, pedalando in barba alle condizioni meteo.
Il Passo del Ghisallo dentro di me invoca sentimenti forti, in due occasioni ho cercato di raggiungerlo, e in entrambi i casi sono finito per essere investito. La prima volta a Solaro, mi fermo ad un semaforo rosso, e quando riparto la macchina che avevo di fianco, decide di girare a destra lasciando però la freccia agli indiani… centrato in pieno, qualche sbucciatura, una contusione al gomito e la bici “Bianchina” ammaccata. La seconda capita tre mesi dopo la prima, un simpatico novantenne al volante mi appare davanti la strada, manco il tempo di tirare le leve dei freni che mi ritrovo nel suo finestrino.. Vi giuro però, che quando mi sono messo sui pedali non ho mai pensato una sola volta, neppure per un solo secondo che sarebbe potuto risuccedere.
Partito da casa arrivo a Bellagio, punto di attacco alla salita che porta al passo, ma a causa della pioggia troppo violenta decido di fermarmi, decisione saggia perchè faccio tempo a ripararmi sotto una pensilina di un vecchio negozio che comincia a grandinare. Riprendo il mio avvicinamento alla meta dopo circa mezzora di pausa, infreddolito come pochi. Il versante da Bellagio è il più duro ma al tempo stesso il più panoramico, peccato solo per il meteo che non aiuta certo a godere del panorama.
La strada, nel primo chilometro sale dolce con pendenze che non raggiungono neppure il 4%, ma dall’inizio del secondo chilometro e fino al sesto c’è da soffrire e pure tanto. La salita si fa dura a tratti durissima sfiorando anche pendenze vicino al 12% poi di colpo spiana e per circa 4 km si può rifiatare un pochino prima dell’ultima vera fatica.
La pioggia nel frattempo riprende a cadere, non è intensa come prima, e non mi obbliga per fortuna a fermarmi di nuovo, mi alzo sui pedali e affronto gli ultimi 2,5 chilometri che mi porteranno alla meta, che mi porteranno fino a quota 754 metri dove appunto sorge la chiesetta e il museo del ciclismo. Ricordo perfettamente di aver pedalato l’ultimo chilometro per inerzia, con il cuore, perchè solo con le gambe non ci sarei mai riuscito, ma alla fine sono arrivato in cima, ho conquistato la mia meta, stavolta senza essere stirato da nessun automobilista.
Beh, inutile dirvi l’emozione che ho provato arrivato in cima, la casa del ciclista, la chiesetta che sembra un museo, pieno di foto, cimeli e bici di grandi campioni, il museo del ciclismo e una vista mozzafiato sul lago di Como, che non ho potuto godere appieno per via del maltempo.
Riparto sapendo che la strada per tornare a casa è ancora molto lunga. Discesa che faccio nuovamente in compagnia della pioggia che non mi abbandona fino a Como, Supero il lago, che per l’occasione è straripato quanto basta per inondare la prima corsia, quella dove ovviamente circolo io, e mi dirigo verso Fino Mornasco per tornare a casa, devio per Saronno quando inzio a rendermi conto della strada che ho percorso, mi è salito un brivido di quelli belli pieni che ti si girano pure nello stomaco.
Alla fine chiuderò il giro con 157 km percorsi e circa 1800 metri di dislivello positivo, ma ciò che ancora oggi, a distanza di quasi due anni, mi porto nel cuore, è stata la sensazione che ho provato arrivato in cima, difficile da descrivere, una specie di vortice nel cuore e nello stomaco.